𝟑 - 𝐇𝐎̈𝐋𝐋𝐄

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Klayton fermò l'auto davanti ad una piccola porta e la scritta neon "Hölle"

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Klayton fermò l'auto davanti ad una piccola porta e la scritta neon "Hölle".
Era l'unico locale che si illuminava in quella strada buia e umida, i muri dell'edificio erano rovinati e sudici.

Non mi piaceva affatto quell'ambiente, ma d'altronde, non avrei voluto rifare mezz'ora di auto per tornare a casa.

Klayton si diresse verso l'entrata, io restai accanto a Juliannah e colsi l'occasione per farle una domanda.

«Che significa hölle?», le chiesi, tendendo lo sguardo puntato sull'insegna.

Lei si leccò le labbra velocemente prima di rispondere. «Significa inferi in tedesco.» Mi spiegò, prendendomi per mano e trascinandomi all'entrata.

Appena entrammo all'interno di quel locale, la musica era messa a volume altissimo ed era stracolmo di ragazzi che fumavano o bevevano. Alcuni erano seduti su dei divanetti in pelle nera, e ognuno aveva il proprio recipiente con il ghiaccio e dello champagne pregiato all'interno. Le luci colorate impedivano quasi di vedere bene le persone in volto.

La gente era perlopiù concentrata sulla pista, dove c'era anche un palco. Sopra di esso si potevano notare in bella vista, grazie ai loro vestiti fluorescenti, le cubiste.

Al bar c'erano almeno sei baristi e cinquanta persone in fila. Il locale era molto ampio e pensai che chi doveva mantenerlo aveva un sacco di soldi.

C'era un tavolo che aveva tutta la mia attenzione. Esso aveva dei divanetti rossi ed era molto più grande degli altri. C'erano ragazze mezze nude sedute lì, che ridacchiavano, ma non erano loro ad avermi incuriosita, bensì, i quattro uomini con il passamontagna che vi erano seduti.

Mi ricordai di ciò che mi aveva raccontato Juliannah, dei peccatori. Dovevano essere loro.

La mano della mora mi strinse ancora e mi avvicinò a lei. Le sue labbra si fecero sempre più vicine al mio orecchio, per farmi sentire meglio ciò che dovesse dirmi.

«Sono lì», mi indicò con il dito quel tavolo che avevo notato poco prima. «I peccatori del diavolo», continuò.

Assottigliai gli occhi, forse per guardare meglio. Non riuscivo bene a distinguerli dato che avevano tutti quel dannato passamontagna nero, a parte uno. Lui ce l'aveva bianco. Erano vestiti completamente di nero, e da lontano potevano notarsi i tatuaggi sul loro collo.

E fu proprio quando lo sguardo del ragazzo con il passamontagna bianco si posò su di me, che Julia parlò.

«Quello in bianco è Hades Wade Blanchard, ha ventirè anni. Dicono tutte che lui sia un dio del sesso...e che sappia farti sentire in paradiso», parlò, mentre il mio sguardo continuava ad essere incatenato al suo.

Il Dio degli inferi nella mitologia greca, Hades, che ti faceva sentire in paradiso. Un bel controsenso.

Non mi interessai molto dell'argomento del sesso, ero troppo concentrata a sfidare lo sguardo di quel presunto Hades, che sembrava proprio non voler cedere.

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