(2) This is a place where I feel at home

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ELIJAH

Non ho avuto la più pallida idea di cosa fosse il pattinaggio su ghiaccio fino ai sette anni.

Mai vista una gara. Mai sentito di nessuno che facesse questo sport. Mai...nulla. Veramente niente di niente.

Poi, però, mia madre mi portò senza uno scopo ben preciso ad una lezione di prova aperta a chiunque nella piccola pista vicino a casa nostra, nella periferia di Toronto, facendomene innamorare a prima vista.

Fu così che finii iscritto al corso principianti. 

Né il me bambino né mia madre avrebbero mai immaginato che, meno di un anno dopo, avrei avuto così tanto talento che l'allenatore dei gruppi di livello superiore, Brian Castle, mi avrebbe voluto con sé in modo da iniziarmi alle "cose serie del pattinaggio".

Cose serie che alla fine dei conti sono semplicemente, per quanto questo aggettivo sia estremamente riduttivo, allenamenti in più, programmi con coreografie strutturate da appositi professionisti, gare e costumi.

Ovviamente ero letteralmente entusiasta di ciò, non sapendo però, o meglio non riuscendo ancora a capire perché troppo piccolo, che c'era un motivo dietro ai miei pattini a noleggio ed ai continui richiami della responsabile del bilancio della società alla donna che mi aveva cresciuto da sola.

In parole povere: non avevamo la disponibilità economica per permetterci nemmeno il corso principianti, per non parlare di quello intermedio ed eventualmente nel futuro di quello avanzato.

Brian, però, non si arrese mai.
Lui mi voleva, ad ogni costo.
Mi considerava come una gemma rara, da maneggiare con cura e da nascondere fino a quando non sarebbe arrivato il momento giusto.

E, così, mi fece allenare nei gruppi intermedio ed avanzato lo stesso, senza pretendere l'aumento della retta mensile che la mia famiglia avrebbe dovuto versare alla società e comprandomi anche di tasca sua, ogni due o tre anni, i migliori pattini in circolazione.

Quello che non poteva fare, invece, era costringere mia madre a rinunciare all'orgoglio per permettermi di gareggiare.

Eppure, Brian continuò con questo iter, senza mai dar cenno di aver rimpianto qualche sua scelta, fino ai miei diciotto anni, quando mi mise davanti alla scelta più importante della mia vita.

La questione era questa: di lì ad un mese sarebbe arrivato, per uno stage e per reclutare atleti, Travis Collins, ovvero l'uomo che veniva considerato il miglior allenatore di pattinaggio del mondo.
Aveva cresciuto da solo grandi campioni, sia in campo maschile che femminile, guadagnandosi l'appellativo di: "creatore di ori".

In quel momento esatto capii per cosa mi aveva preparato Brian da praticamente tutta la vita: voleva che Travis mi notasse e mi prendesse sotto la sua ala, mettendo veramente a frutto il mio talento.

L'unico problema di questo angolo idilliaco era che Travis Collins aveva la sua piccola società di campioni a Londra.

E, per quanto cercassi di dimenticarmene, la nostra famiglia, ed indirettamente io, non aveva nemmeno i soldi per arrivare a fine mese, figurarsi per mandarmi dall'altra parte dell'oceano.

Fu allora che, con l'approvazione e la consapevolezza della situazione di mia madre, iniziai a lavorare come cameriere in quattro posti diversi, a seconda della loro disponibilità, invece di sognare l'università che non ci saremmo mai potuti permettere, promettendo a me stesso che, almeno nel pattinaggio, avrei sfondato.

Lo dovevo a lei, che credeva di non fare abbastanza quando, invece, non aveva nemmeno il tempo di concedersi una pausa dai suoi numerosi lavori.
Lo dovevo a Brian, che aveva scommesso alla cieca su di me.
Lo dovevo a mio padre, anche se non c'era più.

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