(4) And wonder what I did to deserve this

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NOAH

Dopo quella semplice ma devastante frase, Elijah mi guardò con il panico dipinto negli occhi, quasi chiedendomi silenziosamente di rimanere lì con lui.

Era letteralmente terrorizzato.
Talmente tanto da rendere terrorizzato anche me.

"Signor Callagher, la conversazione tra il paziente ed il dottor Maurice deve rimanere privata per motivi burocratici. Di conseguenza, la invito ad aspettare qui fuori insieme a me" aggiunse la donna ancora ferma accanto alla porta, che teneva aperta con la mano sinistra, rivolgendoci un sorriso di circostanza.

Io, a quel punto, solamente annuii debolmente con la testa per un paio di volte, sciogliendo la presa delle mani mie e di Elijah per, poi, fargli un cenno di rassicurazione con il capo e dirigermi verso il corridoio, sostandone al suo centro per qualche minuto.

Fu solo quando arrivò lo stesso medico che mi ricordai gli avesse fatto i raggi ed entrò nella sua stanza che riuscii a riprendere a respirare normalmente, decidendo di sedermi su una delle varie seggiole d'aspetto presenti tra quelle mura spaventosamente bianche.

Mi portai le mani tra i capelli biondi, passandoci le dita fino alle estremità ancora ed ancora.
E, proprio come pochi anni prima, questo gesto mi calmò irrimediabilmente.

Soprattutto se, al posto del mio tocco, immaginavo quello molto più leggero e delicato di mia madre.

Chissà, magari dov'era fuggita stava molto meglio rispetto che a casa nostra...

"Noah, ciao" sentii esclamare all'improvviso alla mia destra, incontrando lo sguardo del professore responsabile del mio tirocinio universitario, nonché primario di fisioterapia dell'ospedale, non appena portai lo sguardo in quella direzione.

Sì, stavo anche cercando di laurearmi in quel periodo.
Come facilmente intuibile dalle premesse, in fisioterapia.

"Professor Whillman" lo salutai a mia volta, cercando di dipingermi in faccia un'espressione quantomeno riconoscente al posto di chiedergli, per l'ennesima volta negli ultimi sei mesi, se avesse finalmente trovato un'attività di tirocinio compatibile con i miei allenamenti.

Anche perché, vista la situazione, già da un po' mi ero rassegnato al fatto che la risposta sarebbe sempre stata negativa ed avrei dovuto tirare fuori un asso dalla manica per riuscire a chiudere quella fase della mia vita, aka tortura cinese, chiamata corso di laurea magistrale.

"Speravo proprio di trovarti davanti a questa stanza" iniziò lui con aria estremamente tranquilla, facendomi aggrottare le sopracciglia ed apparire un'aria visibilmente confusa in viso.
"Credo di non riuscire a capire".
"Dopo lunghe ricerce, un'attività di tirocinio adatta a te" mi spiegò quasi fossi l'unico a non comprendere l'ovvietà di quell'affermazione, indicandomi, poi, con un cenno della mano la porta davanti ai miei occhi quando notò che la mia perplessità non accennava a sparire.

E, allora, capii.
E mi fece anche tanto male.

"E-elijah è il mio tirocinio?" domandai con voce flebile ed incredula, percependo già a priori quale sarebbe stata la risposta a quel quesito.
"Sì, mi sembra perfetto. Conosci sia la storia dell'infortunio che la persona, possiamo usare la sala di preparazione atletica della vostra pista e, soprattutto, sei già dove devi pattinare. Tutto a regola d'arte".

Dopo quelle parole, che più che tali sembravano letteralmente un insulto, fui a tanto così dal mettergli le mani addosso per farlo pentire di quello che aveva lasciato uscire dalle labbra.

A tanto così.

Poi, però, mi ricordai che quell'uomo era l'unica opportunità che avevo di avvicinarmi alla fine del mio percorso universitario e, allora, semplicemente annuii una misera volta con il capo mentre al contempo una domanda si fece largo tra i miei pensieri.

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