(6) And I'll call you when the party's over

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NOAH

"Noah, tutto bene?" sentii risuonarmi nell'orecchio sovrastando la musica che si stava disperdendo nel locale, ritrovandomi, poi, ad annuire meccanicamente con la testa.

Portai lo sguardo in direzione della persona che mi aveva appena rivolto quella domanda, incontrando gli occhi verdi e penetranti di Caleb Stone.

Mio compagno di corso fin dal primo anno dell'università, Caleb era l'unico essere umano che mio padre avesse lasciato avvicinarmi nell'ultimo decennio.
Saranno stati i suoi genitori avvocati, i suoi ottimi voti o chissà quale altra cosa, ma quello che posso dire, da più di quattro anni a quella parte, è che quel ragazzo era la mia unica risorsa per avere una vita sociale che non fosse quella di mio nonno Robert.

Caleb organizzava degli eventi molto esclusivi di tanto in tanto, assolutamente rispettabili e senza alcun giro di sostanze o altro, ai quali venivo sempre invitato ed ai quali mio padre, dopo aver partecipato al primo ed aver capito che non avrebbero potuto rovinare la mia immagine con i media, mi permetteva di andare senza molte storie.

In sostanza: per lui Caleb era innocuo, in tutti i campi ed in tutti i sensi.

Quello che non sapeva, però, era che il suddetto innocuo Caleb mi avesse portato a letto più di una volta.

Tra di noi non era una cosa seria, ovviamente. Lui era un po' uno spirito libero, incapace di legarsi a qualcuno. Io...semplicemente non potevo rischiare di essere scoperto. E delle sveltine occasionali con una persona che veniva considerata come quella a me più vicina erano molto meno vistose di una storia reale con qualcuno a cui importasse sul serio di me.

Non sia mai che trapelasse che uno dei pattinatori più quotati del momento fosse gay.

Chissà che shock per il mondo...

"Sì, non è nulla" aggiunsi dopo qualche secondo con aria tranquilla, cercando di annullare completamente tutte le sensazioni più disparate che mi sentivo addosso dal momento stesso in cui ero scappato dall'ospedale, tre giorni prima, con quattro parole.

E, sinceramente, io anche l'avrei sentito il bisogno di confidarmi con qualcuno. Ma, togliendo la mia omosessualità, Caleb non sapeva nulla di...tutto il resto.
Certo, forse ipotizzava che mio padre fosse molto severo. Non aveva idea, però, di cosa mi facesse veramente. Di cosa anche io, in passato e non solo, mi fossi fatto veramente. E, soprattutto, non aveva il minimo sentore del fatto che Elijah mi attraesse ed anche parecchio. Anzi, era fermamente convinto che lo odiassi. Esattamente come tutti gli altri.

Avrebbero potuto darmi l'Oscar per quella recita a metà.

"Come se tu l'abbia mai odiato veramente. Altro che a metà" commentò la voce della mia coscienza, rammentandomi per la settima volta in solo quella settimana che, nonostante avessi potuto continuare a fingere quanto volessi, la verità io la conoscevo: non ho mai disprezzato sul serio Elijah.

Mai.

Nemmeno nel momento in cui ci siamo stretti la mano sul podio alla sua vittoria del Mondiale dell'anno precedente.

Come avrei potuto? Lui era...Dio, non riuscivo nemmeno a trovare un aggettivo che fosse abbastanza per descriverlo.

"Credo di sapere di cosa avresti bisogno. Vieni" replicò Caleb con aria maliziosa, afferrandomi il polso con una mano e cercando di trascinarmi, poi, verso la zona bar.

"Non siamo un po' loschi? Se ci vede qualcuno?" domandai subito preoccupato, sapendo benissimo da me che l'unico luogo totalmente "sicuro" per fare quelle cose fosse casa sua.
"C'è mia sorella, stasera. Gli occhi sono tutti posati su di lei" commentò lui con aria tranquilla, indicandomela con un cenno della testa.

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