(7) I can't help, but want you

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ELIJAH

Dentro e fuori.

Continuai ad inspirare ed espirare con calma e costanza, continuando a torturarmi la pellicina dell'unghia dell'indice destro nell'attesa dell'arrivo di quello che sarebbe stato il mio fisioterapista. Inoltre, quello stesso giorno, alla mattina presto, mi era stato tolto il gesso, sostituendolo con una fasciatura rigida.

Stava tutto per iniziare.
Il processo di riabilitazione, intendo. Ma, allo stesso tempo, anche un grande cambiamento per la mia vita.

Improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, la porta della mia stanza si aprì, rivelando la sagoma del corpo tonico e slanciato di Noah.
Posò i suoi occhi azzurri su di me con leggero timore, decidendo di rilassare le spalle solo dopo che ricambiai quello sguardo, con il cuore che stava letteralmente tremando.

Possibile che non si fosse mai accorto del fatto che ogni fibra del mio essere stravedeva per lui? Possibile che, invece, lo avesse fatto ma facesse finta di nulla? Possibile che sotto tutto quell'odio che mi aveva sempre riservato, forse, ci fosse qualcos'altro?

"Perchè sei qui? Cioè, di nuovo" gli chiesi dopo qualche istante di silenzio, lasciando le mie labbra aprirsi in un leggero sorriso divertito.
"Purtroppo per me, sono nel tuo team di riabilitazione" mi rispose nel mio stesso tono giocoso, abbassando lo sguardo verso le sue scarpe da ginnastica.

E...fu come se il fatto che l'avessi visto piangere e lui fosse scappato non fosse mai successo. Come se fossimo ancora fermi a quel pomeriggio in cui non si è alzato dalla sedia accanto al mio letto nemmeno per un secondo. Come se fossimo sempre stati così l'uno con l'altro.

"Sei troppo giovane per essere già laureato in fisioterapia" commentai con aria confusa, credendo di essermi perso il post Instagram della sua laurea.
"Infatti. Questo è il mio tirocinio" si trovò costretto a spiegarmi mentre una sensazione di sconforto prese piede nel mio stomaco, facendomi incupire.

Perchè iniziai a pensare che forse era quello il motivo della sua vicinanza nella settimana appena trascorsa. Che probabilmente ero solo un mezzo di cui lui aveva bisogno. Che quella gentilezza che stava tirando fuori era tutta finta.

"L'ho saputo venerdì e non l'ho scelto io. Davvero" aggiunse quasi all'istante, portando nuovamente le pozze d'oceano che erano le sue iridi su di me.

Ci lessi necessità, in esse. Necessità di rivelarmi quell'informazione. Necessità di essere creduto. Necessità di...me, speravo.

Annuii solamente, prendendo a realizzare che anche io, dal canto mio, avrei avuto il bisogno più recondito di parlare di una cosa: quella dannatissima telefonata nel cuore della notte.
Non che mi avesse infastidito. O, meglio, la parte che mi aveva infastidito era quella in cui, invece di sentire la sua voce, avevo sentito il suo respiro ad intervalli regolari.

Avrei solamente voluto qualche sua parola. O la sua risata. O qualsiasi cosa avesse da offrirmi.
Anche alle quattro del mattino.

Ma...non sapevo se dirglielo. Se chiedergli perché mi avesse chiamato. Se domandargli perché stesse pensando a me dopo tutto quello che era successo.

Alla fine, prima che potessi anche solo aprire le labbra per porgli uno soltanto di quei quesiti, fu lui a parlare, portando la conversazione da tutt'altra parte.

"Riguardo a quello che ti ha detto il medico, io...non so ancora nulla. Nel senso, Whillman è pessimo da questo punto di vista. Per questo sono venuto direttamente da te".
"Potevi chiamarmi. Puoi chiamarmi quando vuoi, in realtà" risposi con finta aria tranquilla, cercando di nascondere un sorrisetto quando lo vidi sobbalzare dalla sorpresa alle mie parole.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 19 ⏰

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