𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟑 - 𝐂𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨

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L’aveva squadrata sconvolto per una manciata di secondi.
Lei aveva continuato ad ignorarlo, aspirando ed espirando fumando beata.

Tom, per la prima volta dopo tempo, si era ritrovato incerto sul da farsi.

Lui, un ragazzo sicuro di sé come pochi, era indeciso su come agire: Lasciarla marcire con l’oggetto dei suoi desideri stretto tra le dita affusolate, tirarle un ceffone e urlarle di smettere di sputtanare la sua vita o aiutarla ad alzarsi e portarla nella clinica più vicina?

Le prime due ipotesi le scartava a priori: lui non avrebbe mai permesso ad una persona – se era una giovane ragazza soprattutto – di buttare nel cesso la propria esistenza, e in secondo luogo lui non avrebbe mai alzato le mani su una donna. Ovvio, se non per certe cose, ma… Va beh, quello al momento non centrava e se ne rese conto immediatamente.
Mordicchiandosi le labbra e torcendosi le mani nervoso, prese la sua decisione.

«Nesta» provò a chiamarla, sperando che non fosse eccessivamente fatta.

Lei alzò lo sguardo vacuo verso di lui, che represse a fatica un istintivo ribrezzo per quelle pupille dilatate e quegli occhi arrossati.

«Nesta, mi senti?» continuò, inginocchiandosi davanti a lei.

La ragazza rimase un istante silenziosa, per poi scoppiare a ridere isterica; una risata vuota che feriva le orecchie di Tom.

«Ahahah, e tu chi saresti? Ahahah, che strano!» quasi gli urlò in faccia Nesta, facendo ciondolare il capo.

Il ragazzo si diede del deficiente solo per aver sperato che lei interagisse con lui in maniera civile. Afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans, componendo svelto il numero di David Jost.

«David, ho un problema e non sapevo chi chiamare» disse, il tono grave della sua voce solitamente baldanzosa che fece incupire il suo interlocutore.

Due ore dopo, quando Nesta riprese coscienza, si ritrovò l’ormai nota stanza sconosciuta davanti agli occhi.
Aveva un mal di testa tremendo, e un insopportabile formicolio che le intorpidiva tutti i muscoli. Avrebbe voluto vomitare, chiudere nuovamente gli occhi e sparire.

Nesta avrebbe voluto letteralmente sparire.

Cercò di mettere a fuoco l’ambiente che la circondava: una stanza piuttosto grande, luminosa e calda nonostante fuori fosse buio. Non fredda come le usuali camere d’ospedale puzzolenti di disinfettante. Era una stanza in cui il calore della lampada accanto al comodino si diffondeva e permetteva di scorgere le tenebre fuori dalla finestra. Le lenzuola erano profumate di bucato, di un bel giallo sole.
Per il resto la stanza era abbastanza banale: un paio di quadri astratti alle pareti e un armadio a muro difronte al letto.

Quello che successe dopo, però, la lasciò abbastanza perplessa.

Dapprima era entrato un uomo dalla chioma brizzolata e il gli occhi celesti, così chiari da apparire biancastri.
Indossava un camice bianco.
Era entrato silenziosamente, pensando probabilmente che non si fosse ancora svegliata. Quando però incontrò il suo sguardo smeraldino le sorrise con calore e distacco allo stesso tempo.

Si avvicinò nuovamente alla porta, sporgendo la testa fuori dall’uscio e facendo cenno a qualcuno di entrare.

Era un uomo giovane, dallo sguardo agitato e i movimenti nervosi. Le aveva lanciato un’occhiataccia fugace, non esattamente amichevole. Solo astiosa e snob.
Avevano confabulato per un paio di minuti, cercando di non farsi udire troppo da lei.
Dal suo canto, lei era troppo stanca per preoccuparsi di quello che si stavano dicendo, anche se molto probabilmente la riguardava da vicino.

Dopo un po’, l’uomo che intuì dovesse essere un medico le andò vicino, sedendosi al bordo del suo letto.

«Buonasera, signorina»

Mɑ̈dchen weine nicht - Tom KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora