𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟓 - 𝐔𝐧 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨

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Il mattino seguente c’era un bel sole, luminoso e caldo. Era una di quelle mattinate che ti mettono voglia di uscire e girovagare senza meta tutto il giorno, senza un motivo preciso.

Nesta, come suo solito, si era svegliata praticamente all’alba. Si era premurata di non fare rumore uscendo, socchiudendo la porta della stanza silenziosamente, dopo aver rifatto il letto alla meglio.

Peccato che non avesse fatto i conti con il fattore David.

Il signor Jost, famoso manager della band più acclamata del momento, non poteva che dirsi una persona estremamente paziente, visto che aveva a che fare con quei quattro ragazzi da parecchi anni.
Eppure, se c’era una cosa su cui si era dimostrato intransigente, era la puntualità dei ragazzi: se lui diceva un orario, ebbene era quello. E niente scuse se uno tardava.

Quel mattino avrebbe portato la band un po’ in giro per la città per sbrigare alcune incombenze, tra cui interviste e servizi fotografici, per dimostrare l’effettiva salubrità del cantante a tutto il mondo.

Ecco che allora i quattro Tokio Hotel erano stati costretti ad alzarsi ad un orario indecente, almeno a detta di Tom, che però si lamentava anche per il gemello, ancora a riposo con la voce.

Il chitarrista si stava ancora lamentando, mentre si dirigevano verso il SUV che gli avrebbe condotti a zonzo per la città, quando aveva scorto la figura infagottata di Nesta attraversare il vialetto diretta verso il cancello.

«Ragazzi, c’è Nesta» fece dopo qualche istante Georg, accortosi anche lui della presenza della ragazza.

Tom si limitò ad un grugnito che fece sorridere il gemello a mezze labbra; intanto sia il bassista che Gustav le andavano incontro.

Il chitarrista avrebbe voluto sbattere la testa da qualche parte, pur di non essere costretto a quella tortura.

Perché proprio lei?
Perché, accidenti, perché l’aveva voluta aiutare? Con il senno di poi l’avrebbe lasciata a marcire in quel parco, sola.

Si sentiva salire la nausea anche solo a pensare certe crudeltà, ma lei aveva la straordinaria capacità di mandare a quel paese il suo autocontrollo.
Con anche grande, grandissima grazia.

«Nesta, te ne vai senza salutare?» disse Gustav sorridendo alla ragazza, che esibiva una delle sue espressioni torve di circostanza.

«Speravo, ma dal momento che vi ho incontrati non penso di potermene andare senza ringraziare» ribatté lei, con un mezzo sorriso tirato a incorniciarle le labbra.

Era strano, si era ritrovato a pensare Bill, come quella ragazza si trovasse in evidente imbarazzo anche solo a ringraziare.

Perché era così: a prima vista si sarebbe potuto dire che il suo fosse menefreghismo verso coloro che l’avevano aiutata, e invece no, era imbarazzo.
Nonostante l’incarnato più scuro del loro, il cantante aveva chiaramente visto le guance di lei tingersi di un lieve rossore.

«Non c’è di che, è stato un piacere» fece Georg.

Nemmeno Bill avrebbe saputo ostentare una faccia da schiaffi simile probabilmente, ma il bassista sembrava cavarsela proprio egregiamente.
Sembrava quasi… sincero.

Sincero.

Tom rabbrividì al solo pensiero, stringendosi nelle spalle e reprimendo un moto di stizza.

Gustav, purtroppo, non fu da meno, e anche suo fratello parve tradirlo quando accennò un sorriso alla ragazza.
Dagli sguardi eloquenti dei compagni e da quello fintamente paziente di lei, era palese che cosa si aspettassero da lui.

Le rifilò un’occhiataccia, odiandola per la sua espressione di beata attesa, mentre già sapeva pregustare quella sottile vendetta, la soddisfazione di vederlo addirittura scambiarle qualche convenevole.

Non le avrebbe mai detto qualcosa anche lontanamente simile a: “Oh, è stato un piacere, figurati! Guarda, mi ha fatto così piacere che magari potresti farti trovare ubriaca in un parco più spesso!”

Mai. No, piuttosto…

Non ricordava che Bill avesse una tale forza fisica in quelle esili braccine, ma quando lo spintonò con ben poca grazia verso Nesta non ebbe dubbi: di energia il gemellino malato ne aveva, eccome.

«Allora, qualcosa da dire, bello?» ghignò lei.

Sì, sei la più grande stronza che io conosca. Contenta?

«No, in effetti no. Tu non avresti qualche ringraziamento da fare?» sibilò Tom, beandosi della propria prontezza nel trovare una risposta adeguata per quella smorfiosa altezzosa.

Nesta gli rifilò una delle sue occhiate assassine, prima di girare i tacchi e incamminarsi verso il cancello.

«Certo che sei pessimo, lasciatelo dire» biascicò Gustav, mentre salivano in macchina.

«Gus, ti prego, non è il momento» ringhiò il chitarrista, mentre dal finestrino seguiva la figura di lei che si incamminava verso una meta a lui sconosciuta.

Se però quella meta era ignota al ragazzo, era ben chiara nella mente della ragazza.

Casa.

Praticamente un altro mondo rispetto a quello in cui era stata catapultata per due giorni scarsi.

Se ne rese conto quando finalmente raggiunse il suo quartiere.
Se c’era qualcosa che accomunava tutte le grandi città o metropoli, era la presenza di due mondi che vivevano a stretto contatto, senza però mescolarsi.

Quello dei quattro musicisti era un mondo fatto di meraviglie, sogni realizzabili e speranze. C’erano bei quartieri, curati e pieni di persone raramente tristi, sempre con un bel sorriso sul volto, perché la vita gli sorrideva.

Poi c’era il suo mondo.
Un mondo diverso, popolato da ombre.

Come lei.

Ombre scure che girovagavano senza meta, senza sogni e ambizioni.

Pochi riuscivano ad andarsene, a scappare, a ricostruirsi una vita al di fuori di quelle mura invisibili, che però opprimevano e soffocavano.
Pochi riuscivano a realizzare i propri sogni, a fare come i grandi talenti, a costruirsi un tutto dal niente.
E allora nascevano persone nuove, che attraverso la propria arte denunciavano la propria condizione al mondo. Cercavano di far aprire gli occhi a tutte quelle persone che li tenevano serrati, che preferivano non guardare in faccia la realtà, perché troppo crudele e spietata. Vera.

Ad ogni modo, Nesta non faceva parte di quel ristretto gruppo di abitanti del ghetto, come lo chiamava lei.

No, lei si definiva realista.

E pensava che no, a nulla sarebbe servito cambiare il mondo, perché tanto il mondo avrebbe cambiato loro poco a poco.

Nesta abitava al confine della periferia, ai margini più remoti della città.
Non era proprio definibile un quartiere vero e proprio, il loro.
Erano un labirinto di viuzze strette e sporche, dove si ammassavano case e baracche di fortuna ai lati delle strade secondarie.
Era una zona caotica e silenziosa al tempo stesso, piena di contraddizioni.
Non vi abitava una sola famiglia definibile tale.

Per quanto potesse sembrare assurdo, era proprio Nesta una dei pochi ad avere un qualcosa che assomigliava molto ad una famiglia. E nonostante lo celasse accuratamente, ne era felice.

Il condominio di cinque piani non se lo ricordava tanto decadente, ma l’immagine della sua casa che aveva davanti non era mai stata rassicurante.

Il vecchio palazzo era un porto sicuro, dove c’era tutto quello a cui poteva ancora aggrapparsi.

C’era tutto ciò che la teneva ancorata al suolo, che le permetteva di non commettere mosse eccessivamente azzardate.

O almeno così le piaceva pensare.

Mɑ̈dchen weine nicht - Tom KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora