𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟕 - 𝐓𝐰𝐢𝐧𝐬

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Bill sembrava che fosse stato sottoposto ad innumerevoli supplizi per ore ed ore. Mostrava una delle sue migliori espressioni sofferenti, con le labbra increspate in una smorfia che probabilmente le numerose fans avrebbero giudicato “carina” o “adorabile”.

No, a Tom in quel momento l’espressione di Bill sembrava solo snervante.
E deleteria per i suoi nervi già a pezzi: sorbirsi anche i suoi mugolii e le sue occhiate disperate non avrebbero aiutato.
Per niente.

Il cantante si stava contorcendo sul divano di casa – quello di pelle nera che tanto adorava – nel tentativo, probabilmente, di trovare una posizione comoda.

Tom aveva messo le cuffie nelle orecchie appena aveva potuto, abbassando la visiera del cappellino sugli occhi, in un modo che il gemello aveva cominciato ad interpretare come: “Non disturbare. Mordo.”

Un po’ come i cani, insomma.

Eppure, in quel momento, per Bill era quanto mai difficile restare buono e zitto.
Soprattutto zitto.
E Tom temeva il momento in cui avrebbe ricominciato a mordere il freno per poter tornare a parlare.

La cosa era cominciata qualche giornata fa, quando avevano passato la mattina e buona parte del pomeriggio tra interviste a cui Bill aveva partecipato solo con un sorriso.Questo non aveva certo aiutato il ragazzo a sopportare ancora silenziosamente quella tortura.
Voleva ritornare a parlare, a fare casino in casa, con i suoi amici e con suo fratello.
Voleva tornare a confidare le sue paure e i suoi dubbi al suo gemello, senza doversi servire di carta e penna, o occhiate supplicanti.

Ecco una cosa che, però, si era inevitabilmente accentuata in quel periodo: gli sguardi.

Sia Bill che Tom non ricordavano di essersi mai trovati tanto in sintonia tra loro – e la cosa li stupiva piacevolmente –.

Insomma, tra gemelli era normale capirsi al volo, leggere nel volto dell’altro le proprie stesse angosce, le stesse gioie.
Però, gli sguardi e le occhiate che avevano permesso loro di capirsi e sostenersi tacitamente in quei mesi erano qualcosa di incomprensibili anche per loro.
Ma era una cosa bella, dopotutto, e le cose belle non sempre necessitano di una spiegazione logica.

In quel momento Tom non poteva certo provare come si sentisse il fratello, ma era certo che avrebbe gradito una mano da parte sua.

Ed ecco che era nuovamente combattuto: come fratello maggiore – ci si può considerare davvero più grandi con solo dieci miseri minuti sulle spalle? – forse avrebbe dovuto offrirgli il suo aiuto.
Lui adorava il suo Bill, e glielo aveva mostrato in tutti i modi, soprattutto in quel periodo.

Nonostante questo, quell’ultima settimana era stata decisamente pesante, e lui si sentiva stanco.
Avrebbe voluto dire a Bill che sì, magari domani ci si sarebbero messi con pazienza ed insieme avrebbero fatto tornare nuovamente la sua voce, e che no, non si doveva preoccupare di niente; che sì, avrebbe ripreso a cantare e a chiacchierare logorroico come un tempo.
Però ora era stanco, e avrebbe voluto solo chiudere gli occhi, addormentarsi e risvegliarsi fresco e riposato il giorno dopo, ma Bill lo stava fissando, ne era più che certo, anche se non lo vedeva.
E lo stava guardando con quello sguardo supplicante che andava oltre l’insignificante stoffa della sua maglia e arrivava al cuore.

Gli sguardi del suo gemello erano così: scottavano quando erano troppo intensi, e nessuno ne usciva indenne. Men che meno lui.

Alzò con indolenza la visiera del capellino, scostando le cuffie dalle orecchie, alzò gli occhi incrociandone un paio identici ai suoi, per una volta privi di trucco.

Bill sorrise timido, piegando leggermente il capo con fare colpevole perché sapeva di aver vinto, aveva vinto un’altra volta contro la sua metà, che gli si piegava senza resistergli.

Mɑ̈dchen weine nicht - Tom KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora