Di aule di tribunale e capitoli chiusi

457 30 3
                                    

Il suono insistente del citofono, quella mattina, fece sussultare Simone, il quale, dopo tanto tempo, era riuscito a riprendere i libri in mano con la giusta concentrazione.

Immaginava fosse Manuel che, come ogni mattina, aveva dimenticato qualcosa.

Ché da quando erano tornati a condividere la casa e la vita, era sempre più frequente che, appena svegli, passassero più tempo del dovuto nel letto, abbracciati, stretti, a recuperare quei pezzi di vita che, a causa delle loro scelte, si erano negati, e ciò portava Manuel, inevitabilmente, a doversi preparare in fretta e a dimenticare sempre qualcosa.

Un giorno era il telefono, il giorno dopo era il portafoglio, quello ancora dopo erano le chiavi.

E anche quella mattina, che il sole splendeva caldo su Roma, all’udire del suono del citofono, Simone elaborò lo stesso pensiero di sempre, tanto che si spinse a non chiedere neanche chi fosse all’altro capo dell’apparecchio.

«Che ti sei dimenticato oggi?» esordì SImone.
«Ehm… Ciao Simone, sono Carmine, mi apri? È importante»

Il sangue nelle vene di Simone sembrò raggelarsi.

Il suo rapporto con Carmine era decisamente buono, importante, potevano definirsi amici ma non al punto tale da giustificare la presenza di uno dei due davanti al portone della casa dell’altro alle otto di mattina.

Simone aprì, nonostante le mani avessero iniziato a tremargli, ché il tono di voce di Carmine non prometteva nulla di buono e aveva permesso ad infiniti, tragici, scenari di farsi spazio nella sua mente.

Attese l’arrivo del poliziotto impietrito davanti all’uscio, capace soltanto del gesto involontario di respirare, concentrato nell’evitare di perdere il controllo.

Non appena Carmine arrivò sulla soglia della porta, si trovò davanti la figura pallida e impaurita di Simone.

«Ehi, Simo! Come stai?» disse Carmine, perdendosi volontariamente nei convenevoli con l’unico scopo di potersi accertare della condizione fisica e psicologica di Simone prima di parlare.
«Bene, tu?»
«Bene»
«A cosa devo questa visita?»

Carmine, che non aveva ancora idea di come affrontare l'argomento, seguì Simone all'interno dell'appartamento, cercando ancora di prendere tempo.

«C'è Manuel?»
«No…Carmine, che succede?»
«È una cosa…delicata»
«Mi stai mettendo più ansia di quanta già ne abbia, cosa mi devi dire?»
«Ecco…allora…fra due settimane inizierà il processo contro Alessandro e questa è…è la convocazione per testimoniare in tribunale»

Il labbro inferiore di Simone prese a tremare, così come le sue mani.

La fronte imperlata di sudore e il respiro affannoso misero in allarme Carmine.

«Simo?»
«Per…favore. Vai via. Per favore»
«Simo, non-»
«Sto bene, ho bisogno di…di stare da solo»

Carmine non insistette.

Gli strinse una spalla con la mano e se ne andò, acconsentendo alla sua richiesta.

Poteva soltanto immaginare quanto quella notizia lo avesse scombussolato.

Aveva trovato, non da molto, un equilibrio, e l'idea di dover vedere nuovamente il volto del suo aguzzino, lo aveva sconvolto.

Appena fuori dal condominio, Carmine tentò di chiamare Manuel per avvertirlo di ciò che era appena accaduto, trovando, però, il suo cellulare non raggiungibile.

Prima di mettere in moto la sua automobile e andare via, allora, si tolse, metaforicamente, le vesti del poliziotto e indossò quelle dell'amico.

Prese nuovamente il cellulare e scrisse un messaggio a Simone.

Vite in gioco: passato e futuro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora