Passato

128 22 13
                                    

Completamente fradicia e infreddolita camminavo lentamente verso la mia meta. Il sole appariva in un sottilissimo spicchio all'orizzionte e la sua luce flebile rischiarava l'intricato percorso che avrei dovuto seguire. Non mi ero resa conto dell'immenso cimitero di macerie sulle quali stavo camminando dato che nel corso degli anni erano state ricoperte da muschi e nuova vegetazione. Probabilmente mi ero addentrata in una vecchia cittadina rasa al suolo. In alcuni punti si riuscivano a distinguere i resti delle stanze di alcune case con annessi pezzi di mobili, stoviglie e addirittura fotografie stinte e sporche. Una in particolare attirò la mia attenzione: la classica rappresentazione della famiglia felice. La madre teneva in braccio la figlia piccola mentre il marito la cingeva con un braccio intorno alla spalla e di fronte a loro il figlio che avrà avuto forse sui dieci anni che sorrideva in maniera forzata, mettendo in mostra gli incisivi pronunciati.
Chissà dove saranno finite quelle persone.
Passai oltre cercando di distogliere il pensiero dalla mia di famiglia, cosa che risultò impossibile.

Cinque anni prima.

Finalmente! Non pensavo sarei mai riuscita a superare l'esame di anatomia, stavo iniziando a perdere le speranze e davanti al compito non avevo smesso di tremare.
Ce l'avevo fatta. Mi sentivo libera e senza pensieri. Potevo ricominciare a godermi l'estate avendo finito quell'ultimo, terribile esame.
Mi concessi un paio di saltelli lasciando che qualche ciocca bionda mi danzasse davanti agli occhi. Il leggero vestito bianco, lungo fino ai piedi, si sollevava delicatamente creando degli sbuffi di stoffa ogni volta che mi sollevavo da terra. I passanti intorno a me osservarono la scena straniti ma sorrisero contagiati dal mio entusiasmo.
Dopo qualche passo mi ricomposi con ancora il sorriso sulle labbra. La pesantezza dei libri nella mia tracolla non minacciava minimamente la leggerezza del mio spirito.

Camminavo spedita verso casa mia, avevo avvertito i miei genitori dell'esito dell'esame appena uscita dall'aula. Sapevo cosa mi aspettava, la solita squisita torta di ciliege che mi preparava mio padre ogni volta che superavo un esame. Un cuoco fantastico, i miei amici venivano spesso a trovarmi a casa per poter assaggiare uno dei suoi dolci o uno qualsiasi dei suoi manicaretti. Mia madre portava spesso il lavoro a casa dedicandosi anche nel tempo libero a carte e scartoffie mentre mio padre una volta tornato dal lavoro si dedicava volentieri alla cucina.
Erano dei genitori davvero singolari nella loro normalità, bisticciavano continuamente su qualsiasi cosa ma ogni discussione terminava in fretta e senza rancori, non mi stancavo mai di sentirli discutere e poi vederli fare pace.

Mancavono un paio di viuzze e sarei arrivata. Osservai il parco alla mia sinistra, non era un vero e proprio parco: un quadrato d'erba ingiallita di una decina di metri di diametro con all'interno un'altalena mezza rotta, uno scivolo arancione smunto e tre panchine di legno completamente incise dai ragazzi. Non era la bellezza, di certo inesistente, di quel parco a piacermi ma tutti i ricordi ad esso collegati.
I giochi a nascondino con le amichette, le spedizioni super segrete per comprare le caramelle nel bar di fronte (ovviamente ben poco segrete dato che i genitori non ci perdevano mai di vista), la prima cotta quando già ero una ragazzina e il punto di ritrovo con gli amici del quartiere che spesso usavamo ancora adesso.
Adoravo tutto di quel posto, in ogni angolo vedevo ricordi felici e sogni da bambina.
Sorrisi un'ultima volta lasciandomi indietro il parco e avvicinandomi sempre di più a casa mia.

Stavo già pregustando il sapore delle ciliege quando un vento caldo e del tutto inaspettato si alzò fischiando. Rallentai il passo per qualche secondo guardandomi intorno: notai le espressioni stranite dei miei vicini di casa. Il ventò sferzò per qualche istante e dopo poco ritornò la calma piatta tipica di agosto. Tutti ricominciarono a fare ciò che stavano facendo senza dare troppo peso all'avvenimento. Un vento così caldo d'estate non poteva essere una cosa da definire rara o assurda. Come gli altri non diedi troppo peso alla cosa e continuai a camminare spedita.
Non ebbi il tempo di fare un altra decina di passi che arrivò un'altra sferzata, mille volte più potente di quella predente.
La mia tracolla per quanto fosse pesante, iniziò a librarsi nell'aria, scuotendosi e tremando, restando attaccata al mio braccio soltanto per un gioco d'incastro. Mi dovetti coprire gli con un braccio per colpa delle polveri e dei sassolini sollevati dal vento.
Sembrava una tempesta di sabbia. Cosa impossibile visto che non ci trovavamo neanche lontanamente vicini ad un deserto.

Cercai di guardarmi intorno scostando appena il braccio, intorno a me le persone cercavano di correre nelle loro case, al sicuro fra quattro mura.
Alzai lo sguardo, la mia casa si trovava in fondo alla via. Non sapevo cosa stava succedendo ma quella era di sicuro l'idea migliore.
Camminai a fatica per contrastare la forza imponente del vento che mi spingeva nell parte opposta.
Ero arrivata a metà strada, nella piazza che faceva da punto di ritrovo fra i vicini della via.

In quel momento successe una cosa totalmente inspiegabile.
"Alzai gli occhi verso il cielo, un lampo, tutto si ricoprì di quella che sembrava una luce surreale quasi densa."
-Ma cosa sta succedendo?
Sibilai attonita, tossendo subito dopo per il polvuscolo che aveva invaso le mie vie respiratorie.
"I palazzi iniziarono a tremare, scossi nelle fondamenta da quella sinistra materia che poteva essere tutto fuorché etera, impalpabile."
Non riuscivo a proseguire oltre poiché il vento si era alzato in tal modo da rendere impossibile ogni movimento.
Il cuore mi batteva all'impazzata e le immagini della mia esistenza mi passavano davanti agli occhi come in un film. Avevo la dura e vivida sensazione che qualunque cosa stesse succedendo non avrei mai rivisto la luce dell'indomani.
"Impossibile, impossibile" Continuavo a ripetermi nella testa mentre veniva a mancare la stabilità dell'asfalto sotto ai miei piedi.
Il viso dei miei genitori, sorridenti e sereni. Indaffarati e amorevoli.
"Impossibile". Pensai un'ultima volta e di colpo, la solita strada su cui avevo camminato per tutta la vita mi inghiotti'.

Aprii stancamente gli occhi, usai talmente tante energie per compiere quella semplice azione che mi sentii prosciugata. Ci misi qualche secondo a mettere a fuoco il posto in cui mi trovavo. Pezzi di catrame, terra e cemento ovunque.
In quel momento il ricordo di ciò che era successo piombò come veleno nella mia mente seguito da un dolore diffuso in tutto il corpo ma decisamente prepotente alla testa.
Ero ricoperta da polvere e pietre. Il mio candido vestito era ormai stracciato in numerosi punti, lasciandomi scoperta una gamba violacea e tumefatta.
Portai una mano alla nuca e con orrore sentii una sostanza densa e viscosa bagnarmi le dita. Sangue, pensai.
Cercai di capire dove fossi di preciso. Uno spiraglio dall'alto lasciava entrare quel filo di luce che mi bastò per guardare con attenzione.
Scorsi un palo della luce divelto a pochi metri da dove mi trovavo, ricoperto da un blocco di cemento che copriva quasi del tutto l'enorme voragine che che avevo di fronte.
Facevo fatica a tenere gli occhi aperti, ero distrutta e inerme. Sapevo, grazie ai miei studi, che non potevo assolutamente addormentarmi dopo il colpo che avevo subito alla testa. Se non si trattava di una commozione cerebrale poteva comunque essere un trauma cranico: addormentandomi rischiavo il coma o peggio.
Mi guarai intorno, vidi sfocatamente quelli che dovevano essere i confini della mia prigione di catrame. Ero in trappola e mi sentivo così stanca da non provare nemmeno terrore.
Mentre cercavo di restare sveglia mi venne in mente come un lampo il pensiero dei miei genitori e immediatamente quel pensiero mi scosse da capo a piedi.
Staranno bene? Saranno ancora vivi? Dovevano essere ancora vivi. Dovevano essere vivi.
Mi ritrovai a piangere disperatamente. Dovevano essere vivi.
Cercai di sollevarmi ma non avevo un briciolo di forza per muovere un muscolo.
-Aiuto. - Sibilai fra le lacrime. Avevo la gola secca e la trachea intorpidita.
-Aito! - Cercai di alzare la voce. Dovevo vedere i miei genitori, dovevo assicurarmi che stessero bene.
-Aiuto! - Urlai quasi strozzandomi iniziando a tossire per la polvere subito dopo.
Cotinuai ad urlare per un tempo che mi sembrò infinito. La testa continuava a pulsare ma non me ne importava. Dovevo vedere i miei genitori.

Nessuno aveva risposto alle mie disperate richieste d'aiuto e avevo perso le speranze. Mi ripetei in testa che i miei genitori stavano bene che erano al sicuro e che mi stavano cercando. Magari sarebbero stati loro a trovarmi.
Completamente stremata persi anche quell'ultimo granello di energie che mi permetteva di tenere gli occhi aperti. Chiuselepalpebre espirando come se avessi compiuto uno sforzo enorme.
Proprio in quel momento, insapettatamente sentii una voce urlare dall'alto.
-C'è nessuno? Rispondete! Rispondete!

*********
NA: Scrivo per un chiarimento, nel pezzo in corsivo ci sono alcune frasi non in corsivo, per chi non se ne fosse accorto sono frasi direttamente prese dal prologo per quello ho deciso di lasciarle senza il corsivo :D
Ancora una volta grazie a tutti quelli che stanno seguendo la storia, mi sembrava doveroso aggiungere questo pezzo nel quale si vede un po' la Eva del passato. :D

La luce violaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora