Avevo pranzato velocemente e ancor più velocemente avevo eluso la signora Julie e la sua famosissima parlantina. Ormai gironzolavo per quello che era conosciuto come "il torrente" da più di tre ore. Il torrente era il letto di un fiumiciattolo che si trovava al di là dei campi dietro la locanda della signora Julie, ricolmo di detriti e spazzatura. Il luogo migliore per una ricettatrice come me.
Prima che l'esercito requisisse tutti gli aggeggi elettronici del mondo, la gente aveva iniziato a liberarsi di quei tristi oggetti che fungevano da promemoria costante di come era la vita prima dell'esplosione. Ovviamente l'esercito aveva ripulito tutte le zone adibite a discariche elettroniche almeno quattro volte nel corso degli anni, tutte tranne piccoli posti nascosti, accessibili soltanto a chi per caso aveva scoperto della loro esistenza.
I raggi di sole delicati che mi avevano svegliata in tarda mattinata si erano trasformati in pesanti artigli che mi trafiggevano la schiena, mentre piegata in due cercavo di scovare qualcosa in quel mucchio di roba.
Un'antenna, mezzo telecomando senza tastiera e il vetro di un piccolo forno a microonde. Niente di importante ma neanche niente male. La persone a volte non si capacitavano di come facessi a trovare certe "reliquie" in mezzo a quel mucchio di spazzatura, in realtà non era un lavoro difficile per chi sapeva dove cercare.
Infilai il bottino nella borsa e mi avviaiai verso la locanda, l'indomani sarei dovuta andare in un piccolo villaggio ad est, Vistora, per incontrare il mio cliente più affezionato, che aspettava il mio arrivo già da giorni. Chris, un ragazzino più piccolo di me di circa sei anni, sempre attivo, molto sveglio. Faceva tenerezza con i suoi capelli neri sempre scompigliati e quel paio di occhiali mezzi rotti che si ostinava a portare con disinvoltura. Avevo provato a chiedergli se voleva che gli procurassi un paio di occhiali nuovi ma non c'era stato mai nulla da fare.
Nessuno aveva mai saputo come si fosse procurato tutte quelle monete, come mai fosse così ricco. Da quando lo avevo conosciuto mi aveva sempre pagata bene e alla consegna. Questo era tutto quello che mi interessava sapere. Anche se avrei mentito dicendo che lo consideravo un semplice cliente, era più come un fratellino, un cuginetto impertinente.
Stavo ancora sorridendo fra me e me quando iniziai ad accorgermi di un fastidioso rumore che proveniva alle mie spalle, come uno scalpiccio lontano o uno strisciare di metallo. Mi allarmai immediatamente. Cercai di mantenere l'andatura costante come era stata fino a quel momento e strinsi con noncuranza la borsa di tela a me. Se c'era qualcuno che mi stava seguendo non mi sarei mostrata spaventata. Avevo un coltello di venti centimetri nella borsa, e sapevo come usarlo.
Eppure l'arma che possedevo non impedì al mio stomaco di contrarsi mentre il rumore che sentivo si faceva sempre più forte. Involontariamente il mio passo si fece mano a mano più veloce, cercavo di ripetermi di stare calma, ma la presenza del coltello si faceva via via più insignificante nella mia testa.
Poteva essere un ladro che mi aveva vista raccogliere quei pezzi, poteva essere un ricettatore di organi che rapiva le fuorilegge come me per rivenderle al mercato nero, poteva essere un gruppo. Poteva essere un gruppetto di assalitori e io ero da sola in mezzo al niente.
Quei rumori si avvicinarono e il mio respiro si fece sempre più corto, smorzato, facevo fatica a trattenere le gambe che mi supplicavano di scappare via. Mi guardai intorno, non c'era niente, campi anneriti e bruciati fino all'orizzonte dove un puntino nero tremava sfuocato davanti ai miei occhi, la locanda, lontana almeno un'ora di cammino.
Guardai in basso, non potevo voltarmi, non potevo gridare: nessuno mi avrebbe sentita.
Strabuzzai gli occhi, era inutile trattenere il passo, era inutile cercare di stare calma. Ero letteralmente terrorizzata. Dovevo fuggire più veloce del vento.
Accelerai il passo, sempre di più, sempre più veloce. Scattai all'improvviso sperando di disorientare il mio possibile aggressore.
-Ferma o sparo!
Urlò una voce tremendamente vicina alle mie spalle.
Sparo? Non era possibile, le armi da fuoco erano consentite soltanto ad alcune particolari squadre dell'esercito.
-Identificati!
Urlò una seconda voce, più cupa ed estremamente fredda.
Armi da fuoco, militari altamente specializzati, classe A.
Alzai le mani al cielo senza voltarmi. -Eva Pierce, ventiquattro anni, nata a Wennington nella vecchia Europa.
Sentii un brusio alle mie spalle, uno sghignazzare quasi divertito. Iniziai a sudare freddo.
-Voltati cara.
Disse un militare con voce suadente. Mi fece venire il voltastomaco. Ma non potevo disobbedire all'ordine.
Mi voltai lentamente, una squadra composta da sette militari più o meno tutti uguali: massicci, testa rasata, ricoperti da segni e cicatrici. Erano vestiti con una tenuta particolare: una felpa aderente e un paio di pantaloni dello stesso tessuto, entrambi neri, dove vi erano ricamati in strisce sottilissime mille spuntoni rossi che convergevano verso il torace e indicavano una "A" immersa in tre fiamme perfettamente identiche. Tutti con impresso un sorrisetto ben poco rassicurante, e uno solo con una pistola puntata verso di me, senza neanche troppa convinzione. Non mi ero sbagliata, cosa ci faceva in quel posto sperduto una delle squadre speciali agli ordini di un capitano di classe A?
Passai con lo sguardo tutti e sette, deglutendo ad ogni occhiata viscida per la paura. Mi fermai con lo sguardo dietro ad uno di loro, dove c'era un altro militare. Non lo avevo notato. Stava in disparte, si guardava intorno con noncuranza, sembrava abbastanza annoiato. Rispetto agli altri era più esile ma più slanciato. Non sembrava molto minaccioso. Aveva i capelli castano chiaro, raccolti in un piccolo codino dietro la nuca, il volto sfilato e un leggerissimo strato di barba che andava a coprire la mascella contratta.
Lo fissai per qualche secondo, finché non si accorse del mio sguardo insistente.
Si voltò, e notai il suo abbigliamento diverso dagli altri. Jeans, maglietta stropicciata e una felpa blu con la manica del braccio sinistro tirata su a mostrare un complesso tatuaggio sul braccio.
Rabbrividii.
Un disegno di fiamme e scintille che contornava una "A" tatuata in stile gotica.
Un elementale del fuoco di classe A. Il capitano della squadra.
Ghignò quando i nostri occhi si incrociarono, e fui percorsa da un'ondata di terrore che quasi mi schiacciò al suolo. Dovetti irrigidire i muscoli delle ginocchia per non crollare al suolo.
Erano in otto, io ero sola.
Erano armati fino ai denti, io avevo solo un coltello.
Un segnato di classe A era il loro capitano, io ero una non segnata.
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La luce viola
FantasyEva è una non segnata. L'esplosione di luce viola che ha fatto sprofondare il mondo in una realtà dove la tecnologia ha smesso di funzionare, le ha portato via i suoi genitori e ogni cosa. Solamente i non segnati come lei possono scegliere liberame...