Nel tutto

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Era la fine. Non ci sarebbe stato niente che mi avrebbe salvata da quella situazione. L'esercito era famoso per il modo in cui abusava della propria forza, del proprio status di difensore e capo della società. Avevo sentito numerose storie di abusi e soprusi attuati dai militari per puro capriccio, solamente per il gusto di farlo. Una ragazza sola in mezzo al niente sarebbe stata un perfetto svago per dei soldati annoiati.
Pensai all'inutilità del coltello nella mia borsa, se avessi provato a fare un solo movimento non avrebbero esitato a spararmi. Loro erano la mano della giustizia, il processo e il giudice. L'esercito era la legge. Tutto gli era concesso e nessuno avrebbe mai messo in dubbio la loro autorità poiché gli sarebbe costato caro.

Non riuscivo neanche a nascondere il mio terrore, le gambe tremanti scuotevano il mio corpo da capo a piedi.
Il capitano della squadra si fece largo fra i soldati e si avvicinò a me lentamente, era perfettamente a conoscienza della paura folle che stavo provando e questo sembrava divertirlo. Si fermò ad un passo di distanza da me e piegò la testa di lato osservandomi da capo a piedi. Aveva uno sguardo vagamente interessato ma del tutto inespressivo.

-Eva -- dissi incrociando le braccia al petto -- cosa ci fa una ragazza della tua età da sola in giro per i campi?.
Provai a rispondere ma la voce mi morì in gola, dovevo inventare una scusa, dovevo almeno riuscire dire qualcosa.
-Non sapevo cosa fare così ho fatto una passeggiata qui intorno, mi annoiavo. -- Risposi quasi balbettando.
Il ragazzo strinse le labbra e iniziò a scuotere la testa. Il mio stomaco iniziò a contorcersi.
-Mia cara, lo sai che le bugie che dici potrebbero rovinare il tuo bel faccino?
-Ma io non...
Non ebbi il tempo di finire la frase, sentii un dolore sordo alla guancia destra e mi ritrovai sdraiata a terra. Il capitano fece un cenno senza voltarsi e due soldati mi sollevarono dal suolo e mi riportarono in piedi tenendomi ferma ai lati.
Il ragazzo accostò il volto al mio e piegò di nuovo la testa in quel modo quasi inquietante.
-Mi dispiace, -- disse sorridendo -- mi hai costretto a farlo. Sai, non è mia abitudine colpire le ragazze indifese ma le bugie mi fanno arrabbiare parecchio. Perciò adesso riproviamo. Cosa ci fai qui?
Non c'era via d'uscita, i casi erano due: o dicevo la verità sperando che si limitassero a trarmi in arresto o continuavo a mentire lasciando che mi picchiassero fino ad uccidermi.
Dovevo dire la verità e magari pregare loro che mi fosse salva la vita perché avevo osato mentire a dei soldati. Dentro di me iniziai a sentire la rabbia che a piccoli colpi cercava di abbattere l'imponenza della mia paura. Avevo fatto tanto in quei cinque anni per rifarmi una vita, avevo lottato tanto per sconfiggere il dolore della perdita dei miei genitori e tutto stava per essermi strappato via dalle mani in un battito di ciglia.
Feci un respiro profondo, cercai di trovare forza nella rabbia per rispondere senza tremare.
-Ho mentito. Sono venuta da queste parti per fare un giro nella discarica che si trova poco più in là.
Il ragazzo avvicinò la sua faccia a pochi millimetri dalla mia. Abbassò lo sguardo e per un istante mi sembrò quasi dispiaciuto. Forse mi stava prendendo in giro.
-E cosa cercavi nella discarica, Eva?
-Pezzi elettronici di varia natura, per rivenderli.
Gli altri simularono un'espressione sorpresa per poi scoppiare a ridere sonoramente. Il capitano alzò nuovamente lo sguardo e mi guardò fisso negli occhi.
-Vedo che ti sei convinta a dire la verità. Cara Eva Pierce nata a Wennington, sono settimane che seguiamo i tuoi spostamenti. Forse non lo sai ma la tua bravura nel mestiere ha attirato la curiosità di molte ai piani alti. Ci siamo sempre chiesti, dove trova tutti quei pezzi? Quante gente da queste parti è interessata ad acquistarli? Così abbiamo iniziato a pedinarti aspettando di aver scoperto abbastanza prima di arrestarti.
Strabuzzai gli occhi e spalancai la bocca per la sorpesa. Non ci potevo credere, non ci volevo credere. Mi stavano pedidando da settimanete, ero sempre stata in trappola e non lo sapevo.
Non mi ero resa conto di nulla, non avevo sospettato neanche per un istante che potessi essere sotto controllo. Ero stata da clienti, avevo raccontato delle storie sul mio lavoro ad amici seduta al bar. Tutti sarebbero stati convolti dalla mia mancanza di attenzione. Come avevo fatto a non accorgermi di nulla?
La rabbia iniziò a tirare colpi sempre più forti alla mole di paura dentro di me.

La luce violaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora