Giorno 5

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Venerdì Aurora non andò dalla psicologa. Nessuno le disse nulla fino a quando la dottoressa non chiamò Mario, il contatto di emergenza che proprio Aurora le aveva lasciato. <Pronto?> rispose il ragazzo, intento a pulire l'ultimo tavolo prima della chiusura. Erano ormai le 9 e nonostante fosse venerdì, il locale chiudeva prima, in maniera da rimanere aperto il più possibile il sabato. <Buonasera parlo con Mario? Sono la psicologa di Aurora Vante> si presentò la voce femminile. Mario poggiò lo straccio che teneva in mano, sentendo il battito del cuore aumentare. <Sì, sono io. È- è successo qualcosa?> chiese, inceppandosi per la preoccupazione. <Non è venuta alla seduta di oggi. Non è buon segno, considerando che siamo solo alla seconda> disse la donna, sospirando. <Io sono al lavoro in questo momento, quando torno a casa posso provare a parlarle> propose Mario. <Grazie Mario, ma non voglio che diventi un obbligo per lei. Se non è pronta ad affrontare ciò che la tormenta, io non posso farci nulla> disse lei. <Non bisogna arrendersi con Aurora> disse Mario, riprendendo lo straccio. <Ci parlo io. Buona serata dottoressa> salutò, prima di chiudere la chiamata. Alle nove e mezza era a casa. Appena entrò, vide Aurora rannicchiata sul divano sotto una coperta in pile e accanto a lei Mirko cambiava canale in TV. Andrea aveva deciso di non passare per un po', aveva deciso di staccare un po' da tutto quel carico di dolore che, anche inconsciamente, si portava sulle spalle. Mirko si era sostituito a lui, nonostante non fosse così empatico come Andrea: quando doveva cazziare Aurora lo faceva senza problemi, anche ferendo i suoi sentimenti. Ma forse proprio questo le serviva, si disse: una persona in grado di schiaffeggiarle in faccia la verità. <Mirko puoi lasciarci soli?> disse Mario, mentre l'altro ragazzo recuperava il giaccone e salutava Aurora augurandole la buonanotte e stampandole un bacio veloce tra i capelli. Non appena si chiuse la porta alle spalle, Mario incalzò con le domande: <Perché non sei andata alla seduta?> chiese. <Non mi andava> rispose lei, raddrizzandosi e poggiandosi contro lo schienale orizzontale del divano. <Non ti andava? E sentiamo, che ti va di fare? Drogarti?> sbottò arrabbiato. Aurora sussultò, rimanendo un attimo in silenzio. <Anche se fosse, a te, Mirko, Andrea e alla psicologa che cazzo ve ne frega?> ribattè lei velenosa. <A me frega eccome visto che ti amo!> esclamò Mario urlando. <Ti amo da quando siamo bambini probabilmente e tu non fai altro che distruggere te stessa e chi ti sta intorno! Tutti abbiamo avuto dei problemi nella nostra cazzo di vita e tutti ci siamo arrangiati cercando di risolverli. Tu non sei meno capace di noi di affrontarli e non sei disperata solo perché nella vita ti sono accadute cose brutte! Devi reagire!> continuò ad urlare Mario. Aurora non battè ciglio, per poi applaudire. <Che cazzo significa questa sceneggiata?> chiese Mario, a metà tra lo scioccato e l'incazzato. <Sei così bravo con le parole, perché non scrivi?> borbottò Aurora spegnendo la TV con il telecomando e dirigendosi verso la sua stanza. Mario la seguì. <Non ho finito di parlare con te> disse, prima che lei afferrasse la maniglia della porta della sua camera. <Io sì. Non avete ancora capito che mi dovete lasciare in pace. Ci sono dei periodi no nella riabilitazione, così come ci son stati in passato. Cosa dovrebbe cambiare adesso?> sbottò arrabbiata voltandosi verso il ragazzo. Mario si morde la lingua pur di non dire che era stanco, pur di non arrendersi definitivamente prima dei 10 giorni come aveva fatto Andrea. <Perché vorrei che stessi meglio, perché l'amore è questo, volere il bene dell'altra persona> rispose, sollevando il braccio per accarezzarla. Aurora indietreggiò, facendo indietreggiare anche Mario che si sentì ferito dal suo ritrarsi: in tanti anni che si conoscevano non si era mai sottratta così, restia. <Allora dovresti sapere che sto bene quando mi drogo. O sbaglio?> rispose lei, riprendendo a camminare verso di lui che rimase fermo nel corridoio. <Non stai bene-> ma non fece in tempo a finire il discorso perché lei urlò di rimando: <Sì invece! Smetto di sentirmi inadeguata, un peso, una sorta di impostore che si guadagna le cose belle perché ha avuto fortuna e non perché le merito! Mi sento leggera, mi sento come se potesse essere chi voglio! Perché non riuscite a capirlo? È così difficile lasciarmi stare?> urlò. Mario la guardò e ascoltò e poi, con un tono di voce che pareva più vicino al sussurro, mormorò: <Hai detto- l'altro giorno hai detto che volevi riprendere vivere>. Aurora lo guardò addolcendo i lineamenti del viso, contratti in un'espressione arrabbiata. <Quella non ero io> ribattè, entrando in camera sua e chiudendosi la porta alle spalle.
Quella sera Mario aggiunse i vestiti estivi al borsone. L'armadio era vuoto per metà.

Parole vuote (La solitudine)/Tedua (sequel)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora