7. L'unica luce

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Ho visto persone impaurite diventare qualcuno che non avrei mai immaginato potessero essere.


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𝑽𝒊𝒗𝒊𝒆𝒏𝒏𝒆

«Vivienne.» La voce monocorde della dottoressa Daumann mi rimbalzò nella testa come un gong, mentre pronunciava il mio nome con la sua cadenza scozzese.

La guardai senza proferire parola.

Erano passati alcuni giorni dall'ultima volta che avevo visto Zakhariah e anche se il mio appuntamento non era previsto, le avevo telefonato con la disperazione che mi tormentava la testa, necessitando di parlarle. Lei, cordiale e disponibile come si era sempre dimostrata nei due anni durante i quali l'avevo frequentata settimanalmente sotto obbligo di mia madre, mi aveva ritagliato un'ora scarsa dopo l'ultimo paziente della giornata, o, perlomeno, quello che credevo lo fosse.

Aveva acconciato i capelli in una perfetta coda alta esageratamente tirata. Il tailleur color panna le stava divinamente, e il trucco leggero ma definito le risaltava gli occhi brillanti.

«Io credo che sia il momento in cui stabiliamo quale percorso è più adatto affrontare per occuparci della tua monofobia», affermò, richiudendo la sua agenda e posandola sul tavolo di fianco alla penna che aveva utilizzato per prendere appunti fino a quel momento. I suoi orecchini con il ciondolo tintinnarono nel nulla mentre lei raddrizzava la schiena contro lo schienale della sedia.

La mia monofobia.

La monofobia, quel disturbo che mi attanagliava lo stomaco al solo spaventoso pensiero, mescolandosi alla sensazione di opprimente disagio che mi soffocava, di rimanere completamente sola.

Dovetti prendere un respiro più profondo dei precedenti per mantenere una parvenza di calma nel mio atteggiamento, nonostante il pericardio fosse impazzito e sentissi il rimbombo del mio battito nelle orecchie, fino alle pulsazioni irregolari sotto la pelle dei miei polpastrelli.

𝐒𝐓𝐀𝐘 𝐖𝐈𝐓𝐇 𝐌𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora