Prologo

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Lo scricchiolio della corteccia gli risuonava nella testa. Tuonava nel cranio e rimbombava al suo interno come un eco dal fiato infinito. Dan sollevò il coltellino e concesse qualche istante di tregua all'albero. Si sentiva in colpa: incidere la pelle di un essere vivente per amore gli sembrava una tortura infantile, al pari di staccare le zampe da una cavalletta o tormentare un lombrico sbucato dal fango. Dan ripose il coltellino nella tasca e si guardò le mani. Parevano quelle di un bambino. Forse la sua anima si era confusa, a forza di tagliuzzare la corteccia con intenti puerili, e lo aveva trasformato in una piccola versione di sé.

Uno squillo acuto gli fulminò i timpani. Dan si sbrigò a rispondere al telefono, per non dover ascoltare la cantilena della suoneria.

«Amore, come stai? Sei andato davvero nel bosco?»
«Sto per finire, manca solo la tua iniziale.»
«Che dolce, l'hai fatto sul serio! Sei il migliore.»
La chiamata si era conclusa nel giro di qualche "ti amo" e "io di più".
Dan infilò il cellulare nel taschino della camicia e si massaggiò la fronte. Represse la coscienza e afferrò il coltellino. Terminò la sua mansione nel giro di qualche secca tagliata. L'albero non gemette, non esalò nemmeno un flebile sospiro. Eppure, Dan sentiva il suo dolore. Le radici, immobili, non si contorcevano e i rami non beccheggiavano in preda al tormento. Nel suo cuore, però, lui udiva delle urla lancinanti. Il senso di colpa lo stava divorando, da tarlo che era.

Una volpe si avvicinò con passi felpati. Dan la vide solamente quando sbucò da un cespuglio lì vicino. Si fermò a fianco dell'uomo, priva di alcun timore. Fissava assorta le iniziali incise nella corteccia. I suoi occhi brillavano di una luce sinistra.

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