Tremava il cellulare tra le sue mani. Il cuore era stretto dal terrore, alimentato da grida confuse. Erano voci nella testa. Urla che si intrecciavano, disordinate, farraginose, intricate. Gracchiavano come uscite dalla gola di una vecchia. Gli imperavano di andare nel bosco, di trovare la pozza tra la neve.
Dan lasciò cadere il telefono con un tonfo e si afferrò la testa. Non riusciva a pensare a nulla se non alla pozza, al bosco.D'un tratto le voci scomparvero. Rimase solo un flebile sussurro, quello della ragione. Suggeriva di chiamare la polizia. Ma Dan non riprese il telefono. Il cuore, ormai, galoppava e i gracidii sopiti erano divenuti graffi indelebili. Non li udiva più ma ne sentiva il lamentoso eco.
Uscì di casa, sbattendo la porta. La notte infervorava tra le sue spire di ombre. Dan non aveva idea di che cosa fosse la pozza, ma quelle urla insensate non potevano essere ignorate. Aveva paura. Per la scomparsa di Jessie, per aver sentito delle voci.
In camicia e immerso nella notte gelida, il ragazzo correva trafelato verso il centro del bosco, verso il guardiano dei pini. Le stelle lo spiavano, celate da sottili nuvole.
STAI LEGGENDO
L'apparenza
General FictionUna volpe si avvicinò con passi felpati. Dan la vide solo quando sbucò da un cespuglio lì vicino. Si fermò a fianco dell'uomo, priva di alcun timore. Fissava assorta le iniziali incise nella corteccia. I suoi occhi brillavano di una luce sinistra.