VENTISETTE

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Si sentiva meglio. I muscoli sembravano collaborare nei movimenti, i passi erano tornati a farsi decisi. Le spalle reggevano di nuovo collo e testa, senza strane inclinazioni. E aveva smesso di diluviare. I prospetti dei palazzi erano ancora bagnati, tristi e cupi. Le strade lucide, i bordi dei marciapiedi scivolosi. Le fronde degli alberi ospitavano perle di acqua brillanti come tanti piccoli diamanti, ad arricchire rami neri e secchi. Faceva freddo. Un freddo bastardo. Un freddo più freddo, tagliente, del freddo con la neve. Un freddo secco, lacerante come lame contro il viso, quando si alzava il vento.

-Porca puttana- sollevò la sciarpa a coprire metà faccia, tirò di più il cappuccio sulla fronte.

-Sembri un ladro, uno scassinatore-

-Il nero è sinonimo di eleganza-

-Sembri Lupin pronto all'azione. Sarà per via della stazza- e Geert gli poggiò un gomito sulla testa.

Abel aggrottò la fronte, infischiandosene delle rughe. Ci stava. Aggrottare la fronte, mostrargli il suo disappunto attraverso una smorfia del viso, ci stava. Geert che rispondeva ridendo, allontanandosi di un passo da lui, dopo avergli mollato una poderosa pacca sul culo, no. Avrebbe potuto ucciderlo per questo, ma non aveva intenzione di svuotare il buco – quello al centro della sua anima che si era stretto intorno al licantropo – era certo che non sarebbe più riuscito a colmarlo con nessun altro, dopo.

Avrebbe dovuto parlare con Mark, dirgli che la loro relazione era stata fantastica, meravigliosa, ma che era arrivata al capolinea. Ché era giusto, e lui aveva sempre avuto ragione: insieme erano una gran scopata, ma lui doveva pensare alla sua piccola Iris, Abel aveva bisogno di Geert. Non perché Geert era un bono pazzesco – lo era sempre stato, anche prima, anche quando si erano odiati –, ma perché era l'uomo giusto per lui.

Gli sembrava così semplice, così chiaro, adesso. Lo osservò prendere a camminare, lentamente, con le braccia incrociate dietro la testa, spavaldo, totalmente incurante del freddo, davanti a lui. Un passo alla volta, con la sicurezza di avere il suo sguardo puntato su di sé. Stava sfilando per lui. I muscoli delle braccia erano tesi sotto il sottile tessuto della maglia che indossava, i fianchi stretti messi in risalto dalla posa strafottente. Un culo davvero invitante. Gambe lunghe e possenti fasciate da jeans che lasciavano davvero un cazzo all'immaginazione.

Sì, lo stava facendo apposta.
Lo avrebbe picchiato per questo.

Ma restava una cosa dannatamente semplice.

Avevano già toccato il fondo. Si erano già scontrati, fatti male a vicenda – com'era successo con Florian. Ma lui era rimasto, dopo il tradimento, aveva cercato di chiedergli scusa continuando a rivestire il ruolo più pericoloso all'interno dell'Arabesque.

Avevano passato da un pezzo la fase della passione, della tensione emotiva, dell'innamoramento – com'era successo con Reik, ma Geert era rimasto, era riuscito a trovare ben altro per restare con lui. Si era affezionato a tutti i suoi difetti, ne aveva fatto ragioni per legarsi ancora di più a lui.

Era un licantropo. Era dentro gli affari del Clan da sempre, dentro gli affari del branco, adesso dentro gli affari dell'Arabesque. Era il suo Krieger, il suo combattente, sapeva mantenere i segreti, e sapeva muoversi tra le spire della politica sovrannaturale, come Hauke. Ma non si odiava come Hauke, non aveva relegato il suo amore a una mera, perversa, stupida ossessione priva di ragione. Non aveva provato a giustificare i suoi sentimenti dando la colpa a lui, ai suoi poteri di seduzione.

Certo, tutto questo avrebbe avuto senso se il tarlo della diffidenza avesse imparato a tacere.

Fidati degli altri come di te stesso.

Lo avrebbe fatto, lo stava facendo, ma continuava ad avere tutto senso. Dannazione.

Rudi gli diede una gomitata a un fianco, richiamando la sua attenzione. -E Mark?- chiese, fissando il licantropo con un certo giocoso scetticismo.

ARABESQUE ~ Epilogo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora