TRENTAQUATTRO

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Rientrò in camera propria furioso, incazzato fin dentro il midollo. E tanti cari saluti al risveglio di buon umore.

Non riusciva a capacitarsi della facilità con cui la sua famiglia fosse così propensa al segreto, alle bugie. Forse era tutto frutto di una questione culturale, archetipica, insita nel loro retaggio, ma lui continuava a preferire una brutta verità a una bugia. Combattere la verità, se necessario, per renderla migliore, oppure rassegnarsi a essa e accettarla, ma senza bugie. Forse aveva perso John per questo motivo, eppure, non se ne pentiva: per se stesso, ma soprattutto per John, perché John meritava di conoscere la verità, anche se tanto dolorosa. Forse era stata davvero colpa sua se Brigit era morta, e Brigit non sarebbe più tornata indietro, ma omettere quella parte della storia sarebbe stato come mentire, continuare il suo rapporto con John basandosi sulla menzogna. Non era giusto.

Non riusciva ad accettare che potessero esistere "bugie giuste".

Fanno male. Prima o dopo non ha importanza, le bugie fanno male.  

Afferrò i cuscini e prese a stropicciarli, nel tentativo di strapparli, di sfogare la propria rabbia senza dover ammazzare qualcuno.

Le bugie erano il sale sulle ferite, erano ciò che impediva all'anima di guarire. Un'apparente cura che, in realtà, infettava ancora di più, lasciando che il male si mischiasse con il bene, restituendo una visione fallace della realtà, un'illusione priva di fondamenta, destinata, comunque, alla frana. E sarebbe stata devastante, la frana, lo sapeva già, lo aveva sempre saputo, lo era sempre stata.

Riuscì a strappare la federa di un cuscino, ma non fu sufficiente. Afferrò le coperte, le scagliò sul pavimento, si aggrappò al lenzuolo e tirò con forza. I lembi esterni dovevano essersi incastrati nelle molle della rete, e udì un rumore di strappo che gli suscitò una sensazione piacevole, di profonda soddisfazione.

Tirò con più forza – ancora quel rumore –, la stoffa che faceva resistenza, che gli segava i palmi delle mani ad ogni strattone, finché con un ultimo colpo riuscì a sbrindellare il lenzuolo, e i suoi resti gli rimasero molli tra le mani. Lasciò andare ogni cosa e si girò pronto a incanalare la sua rabbia verso altro, ma si sorprese nel trovare la porta della stanza aperta, Geert fermo sulla soglia. Lasciava poco spazio di visione, sfiorando la cornice con il suo corpo. Teneva le braccia incrociate sul petto e lo fissava con un'espressione indecifrabile.

Abel ansimò e si guardò attorno: non era per nulla soddisfatto di ciò che aveva fatto, non gli era bastato. Prese a tirarsi i capelli, cercando ancora qualcosa su cui scaricare la sua ira. Non era affatto un bene che Geert si trovasse lì, perché, fin dal primo istante in cui se ne era accorto, la sua mente aveva preso a convogliare tutta la sua furia su di lui. Sarebbe stato bello, sicuramente, picchiarlo, farsi male – sapeva che non sarebbe stato in grado di scalfirlo, ma era certissimo, invece, che se avesse iniziato a dargli pugni, calci, lui stesso si sarebbe fatto male, e il dolore sarebbe stato una liberazione, un modo per tirare fuori quello che lo stava divorando da dentro e che non riusciva a trovare una valvola di sfogo.

Ma aveva già fatto del male a Geert – involontariamente, sicuro, ma era successo. -Perché cazzo compari sempre così all'improvviso?- tuonò e scattò in avanti, poi fece un passo indietro, piantandosi le unghie nella parte interna dei gomiti.

Digrignò i denti e grugnì di frustrazione. Tremava da capo a piedi e il sangue ribolliva nelle vene, incendiando ogni più piccolo brandello di ragione.

-Ti ascolto e ti sento. Ti seguo e ti vedo- disse Geert, senza scomporsi di un millimetro, mandando il suo autocontrollo totalmente in tilt.

Abel gli si lanciò contro, ma Geert rimase impassibile, immobile, e ciò diede una feroce spinta alla sua rabbia, la percepì travolgerlo come uno tsunami, da dentro verso fuori, e i successivi colpi che infierì contro di lui furono privi di dolore per se stesso. Geert aggrottò la fronte, Abel prese a prenderlo a calci, puntando alle ginocchia, ai polpacci. Notò una sua gamba tremare e si incaponì ulteriormente, nel solo e unico tentativo di vederlo, finalmente, cedere. Geert reagì all'improvviso, lo afferrò per i polsi e lo spinse lontano da sé.

ARABESQUE ~ Epilogo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora