DODICI

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Fu dolce, sensuale, delicato.

Dov'era finita la sua capacità di prendere per il culo la vita?

È morta con Hauke.

Perché si stava lasciando trascinare dal vortice delle emozioni, lui, che aveva fatto di tutto, nel tempo, per tenere a bada i propri sentimenti, per non farsi sopraffare da nessuno di essi?

L'amore per Hauke – troppo a lungo non ricambiato. Tormentato, straziante, esasperante.

L'amore per la sua famiglia, che l'aveva fatto sentire sempre in difetto, sbagliato, diverso – nell'eccezione assolutamente negativa del termine.

Era stato un adolescente ribelle, complicato, affamato d'amore e di attenzioni.

L'adulto era diventato qualcosa di peggiore.

Odiava il disordine materiale perché sapeva che a quello dentro la sua testa difficilmente sarebbe stato in grado di mettervi ordine.

La dolcezza di Mark lo disarmava. Era qualcosa che da lui non si sarebbe mai aspettato. Mark era sempre stato un tipo irruento, sanguigno – vero era che si imbarazzava con la stessa frequenza con cui era solito battere le palpebre, ma romantico, fino in fondo, non lo era mai stato. E quello lo attirava con lo stesso fascino seduttore di una luce su una falena, perché gli piaceva – e gli piaceva da impazzire – l'idea di avere a che fare con qualcuno che fosse in grado di stuzzicare le corde più profonde del suo cuore, stimolando in contemporanea anima e corpo.

Mark era in imbarazzo anche quella volta, mentre tornava a stringere una sua mano e lo tirava con poca grazia verso di sé, invitandolo a seguirlo in direzione della camera da letto.

Abel si sentiva un cumulo di polvere, dalla testa ai piedi, come se avesse addosso un lenzuolo finissimo e appiccicaticcio che aveva dimenticato di rimuovere. Era la polvere del disordine di Mark, che si era spostata da ogni oggetto che aveva sfiorato, depositandosi su di lui.

Si fermò all'improvviso davanti la porta socchiusa di una stanza, intravedendo il profilo di un lavandino. Lasciò andare la sua mano, si diresse in direzione del bagno, spalancò la porta, tolse la maglietta. Percepiva alle proprie spalle la presenza di Mark, il suo respiro si era fatto pesante, la tensione era diventata dolce.

Abel teneva dentro di sé tanta rabbia – ancora –, ma aveva più sonno. Più fame. Più voglia di sesso e caffè, negli ultimi tempi.

Aveva avuto modo di sfogare la propria rabbia, era stato protagonista di scontri all'ultimo sangue, di litigate epiche. Niente di tutto ciò era riuscito a soddisfarlo.
Gli incubi non erano cessati.

Si morse un labbro, fece per sbottonarsi i pantaloni. Contro le spalle percepì la presenza fisica di Mark, la sua pelle a contatto con la propria, le sue mani sulle proprie. Le dita del suo amante scivolarono sui dorsi delle mani, sottolineando il limite superiore dei jeans. Ridisegnò con un dito il contorno del bottone di metallo, scese verso il basso, afferrò la linguetta della cerniera e iniziò ad abbassarla. Mark aprì i suoi pantaloni e intrufolò una mano al loro interno, prese ad accarezzarlo da sopra gli slip. Abel si morse un labbro e chiuse gli occhi.

C'erano tanti modi per sfogare la rabbia. Ed era arrabbiato con lui, anche se il suo istinto da mammina isterica gli impediva di essere anche aggressivo nei suoi confronti. Dopotutto, era suo amante, aveva alle spalle una vita incasinata, ed era un papà lontano dalla sua bambina.

Dannazione.

Non sarò mai un grande capo.

Egoista. Sarebbe dovuto essere più egoista. Il problema era che Abel ci si sentiva già, come se avesse superato il limite dei suoi stessi valori, agendo fin troppo da egoista nella sua relazione con Mark.

ARABESQUE ~ Epilogo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora