XI - L'eroe e l'antieroe

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"Che stracazzo significa?!" La prima cosa che viene fuori dalla bocca di Elia, mentre io rimango seduta in una panchina vicino casa

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"Che stracazzo significa?!" La prima cosa che viene fuori dalla bocca di Elia, mentre io rimango seduta in una panchina vicino casa.

Ha iniziato a mandarmi mille messaggi, nonostante sapesse di non doverlo fare. Sono uscita di casa con la scusa di prendere aria, ma sono seduta in silenzio ad ascoltare il suo respiro, mentre la temperatura lentamente si abbassa.

"La risolvo."
"L'ho già pestato ma dice che non cambierà niente."
Delutisco, sono terrorizzata. "Devi smetterla di usare le mani."
"Tu devi smetterla di farmi questo."
"Sto solo cercando di proteggerla. Farò come dice, non sarà peggio di quello che hanno fatto all'inizio."
"Stai dando i numeri, cazzo."
Sospiro avvilita mentre sollevo lo sguardo verso la villetta della zona, un gruppo di ragazzi si sta avviando all'interno. "Devi sistemare le cose con lei."
"Non posso credere che lo dici sul serio.. comunque io la lascio, lo farò domani."
"Anche così non potremmo mai..."
"Allora preferisci che la prenda in giro?"
"No questo no!"
"È quello che mi stai chiedendo fin dall'inizio..." La sua voce è calda, malinconica.
"No, io... volevo solo che tornaste insieme. Se non riesci, allora sì, dovresti lasciarla."
"Sai cos'è?"
Mugugno qualcosa di incomprensibile e lui sospira.
"Ti preoccupi di Sara e pure di Leonardo, ma non di me. So che stai soffrendo ma inizio a credere che provi qualcosa per lui, gli permetti di fare ciò che vuole, non metti alcun limite."

Non ho il tempo di rispondere, adesso punta come da un'ape, che sollevando lo sguardo trovo Elia, a pochi metri da me, col telefono tenuto dalla sua mano ormai abbassata, e un'espressione truce e sofferente in volto.

"Il limite lo abbiamo superato fin dall'inizio – dico, andandogli contro e afferrandolo dal braccio, per tirarlo dietro un vicolo, lontano dalla visuale di casa. – Sei impazzito a presentarti qui?"
"Non lo vedi che sto diventando pazzo?!" Alza la voce come mai prima d'ora, mentre interrompe il nostro contatto.

Sgrano gli occhi preoccupata e mi guardo intorno. Deve essere impazzito davvero a credere di fare una scenata sotto casa mia, quando Sara potrebbe vederci solo affacciandosi dal balcone, ecco perché inizio a camminare veloce a braccia incrociate – lui non tarda a seguirmi e io sospiro sollevata, potrei essere salva, ancora per poco.

"Aria-?" Mi chiama, indispettito.
Giro i piedi, sono molto più infastidita di lui. "Allontaniamoci da qui, ci conoscono tutti."
Elia sbuffa, sollevando il cappuccio della felpa blu che indossa, poi prosegue dietro di me. "Sono veramente stanco di questo."
"Pensa io." Lo imbecco.

Nella mia zona c'è un posto appartato, ci ho portato qualche ragazzo per fare qualche preliminare, non è neanche molto conosciuto perché non c'è abbastanza illuminazione. Lo facevo, è vero, quando mi vergognavo del mio corpo troppo asciutto, troppo secco, nascosta nella penombra del fogliame e degli alberi che danno su uno splendido panorama della città, dei suoi terreni più bassi, mentre la luna grande ci osserva silenziosa e immobile in cielo.

"Lascerai Sara, hai detto." Questa volta parlo per prima io, mentre siedo sul prato a gambe incrociate ed evito i suoi bellissimi occhi.
Elia siede di fianco a me e sospira profondamente. "Sì, lo farò."
"Sii gentile... dille che è colpa tua."
"Lo è, è colpa mia." Sembra correggermi, anche se nel mio cuore e nella mente, l'unica che ha veramente peccato contro di lei, sono io.
"Anche mia. – Sussurro timidamente mentre cambio posizione e porto le ginocchia al mento, abbracciando le gambe. – Fai solo in modo che non possa sentirsi mai colpevole se le cose sono andate male."
"Aria, sono innamorato di te da quando ho conosciuto Sara, è solo colpa mia."

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