capitolo 7 - mi fiderò

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Marco rimase immobile come uno scemo davanti a quella porta aperta. Aveva provato a bussare come una sorta di prova di coraggio, non si aspettava di certo di ritrovarselo così, davanti.
Alessandro era lì, al buio, con addosso solo il classico asciugamano bianco dell'hotel che a stento gli copriva le cosce muscolose. I ricci neri bagnati e le gocce d'acqua che ancora dovevano asciugarsi sulla sua pelle. Riusciva a notare, anche se a debita distanza, quella leggera pelle d'oca che ricopriva i suoi pettorali.
Anche lui era bagnato, si ricordò, aveva i vestiti completamente zuppi.
"Entra" disse Alessandro. Marco entrò silenzioso, ancora confuso dalla cazzata appena fatta. Alessandro accese l'abat jour e la luce soffusa illuminò lievemente la stanza.
"Grazie per gli uramaki" disse Marco.
"Li hai mangiati? Mi ricordavano i vecchi tempi e sapendo fossi qui te li ho mandati. Siediti pure" Ale gli indicò il divano, cercando di mantenere un tono più pacato possibile.
"Posso togliere questo giubbotto? Ho fatto una piccola passeggiata sotto la pioggia, avevo bisogno di schiarire un po' le idee". A quel punto Alessandro si avvicinò a Marco e gli sfilò il giubbotto di pelle. Quando fu molto vicino a lui inspirò forte e un brivido percorse tutto il corpo, ancora nudo.
"Tu non hai freddo così?" gli chiese Marco, guardandolo dalla testa ai piedi, scendendo molto lentamente con lo sguardo. Alessandro sorrise e si girò per aprire il mini frigo e tirare fuori due birre. Marco rimase per un attimo a fissare quell'asciugamano bianco che aderiva perfettamente alle forme di Alessandro e sentiva di non riusciva a contenersi.
"Noi due non dovremmo bere, noi due dovremmo parlare" gli disse Marco ritornando alla realtà. "Mi devi spiegare perché questi vecchi tempi sono così importanti per te" continuò.
"Lo sai" rispose Ale "penso proprio che io e te non dovremmo neanche parlare".
Si avvicinò con prepotenza a Marco, gli mise delicatamente una mano sul collo e percepì il battito andare all'impazzata. Marco si avvicinò a sua volta e poggiò la mano sul suo braccio ancora flesso: quel bicipite poteva appartenere a qualche scultura marmorea, se non fosse per tutto quel calore che quel corpo emanava.
Ale spostò la mano sui bottoni della camicia e iniziò a sbottonarli uno alla volta, molto lentamente. Lo guardava fisso negli occhi, mentre lui fissava le sue labbra carnose che in quel momento desiderava tanto addosso. Marco deglutì, immobile, sperando che qualche bottone fosse saltato mentre ballava. Quando Ale finì con i bottoni, si fiondò sul suo petto baciandolo, prima vigorosamente e poi via via più delicato. Si staccò solo per togliergli la camicia. Marco si tolse di fretta la cintura e stava per sbottonarsi i jeans quando Ale lo fermò. Lo prese per mano e lo fece sdraiare sul letto. Come era comodo quel letto in confronto ai sedili di quella vecchia jeep. Aveva tracciato dei confini tra loro, ma alla fine lo sapeva bene che i confini erano solo linee.
Alessandro salì sul letto, in ginocchio su Marco. Abbassò la testa e iniziò a giocare con il bottone dei jeans con i denti. L'asciugamano si stava pian piano aprendo e quel piccolo nodo si stava sciogliendo. Passò dal bottone alla zip, sempre con la bocca e lentamente.
Marco fissava quel bianco mentre era bloccato da quel corpo possente sopra di lui che lo stava facendo impazzire. Ale gli tolse lentamente i jeans fino alle scarpe e poi ritornò su di lui fissando il risultato di tutto quel lavoro. Lo guardò negli occhi e gli sorrise divertito.
Solo lui poteva farlo incazzare e subito dopo farlo ridere di gusto.
"Sono questi i vecchi tempi che ti mancavano?" gli chiese Marco mentre sorrideva divertito.
Alessandro divenne serio, lo guardò come inferocito perché la voglia stava aumentando sempre di più. Tirò via l'asciugamano e Marco lo guardò. Il sorriso scomparì, deglutì a fatica e poi si sollevò di scatto.
Le posizioni si invertirono.
Marco rimase nudo e iniziò a baciare Alessandro, partendo dalle labbra, scendendo verso il petto e poi piano piano lungo le linee degli addominali. Scese poi verso il ventre e iniziò a giocare con la lingua, accarezzandogli il membro. Iniziò a baciarlò fino a che non se lo ritrovò in gola. A quel punto, Alessandro gemette, chiuse gli occhi e sentì tutte le fibre del suo corpo rilassarsi. Marco continuò ancora finché la voglia non fu tale da spingerlo ad andare oltre.
Passarono così, da due estranei che si rincontrano a due amanti, stretti l'uno dentro l'altro.
Si amarono ancora e questa volta fu Ale a dominarlo: Marco sentiva le sue mani sul suo corpo e tutte le paure di colpo si dissolsero. Solo con lui riusciva ad amare senza temere niente.
Quando finirono era ormai quasi l'alba e restarono abbracciati a guardarsi negli occhi.
"Sai che..." sussurrò Marco "sarò uno zombie alla conferenza stampa e sarà tutta colpa tua".
Ale chiuse gli occhi e sorrise "Più che zombie, mi sembri simile a un dio" e poi lo guardò teneramente "anzi, sei il mio imperatore romano" gli disse ridendo.
Marco iniziò a ridere a sua volta "Che responsabilità, allora tu sarai il mio pastore sardo". Alessandro non riuscì a trattenere una sonora risata "Io potrei essere un faraone, il re d'Egitto" gli disse ridendo. "Va bene, ma è tempo che questo imperatore ritorni ai suoi doveri" sospirò Marco guardando l'ora.
Si alzò e si rivestì lentamente, guardando Alessandro ancora sdraiato su un fianco che lo osservava a sua volta. Si chinò poi a baciarlo delicatamente sulle labbra e uscì silenziosamente, sperando che nessuno fosse già sveglio nei dintorni.

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L'imperatore romano e il re d'EgittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora