Capitolo 10

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Una volta tornate al castello salutai Yveline un po' irrequieta.
Il suo corpo sussultava ancora, anche se un po' meno di prima. «Mia signora» si congedò prima di lasciarmi davanti alla porta della mia stanza. Rimasi lì ferma e immobile, persa ad ascoltare i suoi passi che riecheggiavano nel corridoio finché non scomparvero, assorbiti dalle mura del castello.
Avevano lo stesso ritmo lento e costante dei battiti del mio cuore.

Passai qualche altro minuto, ad osservare la sua figura esile allontanarsi, per poi scomparire inghiottita dal buio, prima di ridestarmi.

Nel frattempo la mia mente, rievocò subito, passando in rassegna tutto, senza lasciarsi indietro niente, tutti gli avvenimenti di poco fa.

Quello che era avvenuto alla locanda...Quell'uomo...Mi aveva scombussolata dall'interno.

Mai nessuno aveva avuto quell'effetto su di me, e mai avrei pensato che qualcosa potesse arrivare a farlo.
Ma ciò che lo contraddistingueva e lo rendevano ancora più strano erano i suoi occhi, bizzarri seppur magnetici. Non si erano mai abbassati. Nessun accenno di debolezza, nè un leggero tremore. Niente di niente.
Non aveva mai indietreggiato di fronte a me, quando era venuto a conoscenza di chi ero.
Anzi si era addirittura avvicinato con spavalderia, come se non mi temesse, con quel maledetto sorrisetto che mi aveva irritata come il sibilo di una serpe.
Era sembrato quasi come se non temesse affatto una cacciatrice.

«Forse la birra ha agito per lui» mormorai al silenzio, che ascoltò le mie parole come un buon amico.

Ma lo scontro che avevamo avuto, aveva scaturito qualcosa nell'aria rendendola statica.

Lo avevo sentito io, ma l'aveva fatto anche lui. I suoi occhi non avevano mentito.

Era rimasto sorpreso e leggermente turbato tanto quanto me.

Ma i rimasugli di quella sensazione di forte tensione, che si era accumulata e che avevo percepito in quella stanza mi accarezzavano ancora la pelle. Forse erano più un promemoria evanescente, perché quello che avevo provato in sua presenza era qualcosa di tremendamente pericoloso.

Qualcosa che non avrei mai e poi mai dovuto provare, qualcosa che negli anni passati alla Congrega avevo imparato a domare e a tenere sotto controllo.

Non mi aspettavo di certo di trovare alla taverna lo Spettro. Così sarebbe stato troppo facile.

Ma l'incontro con quell'uomo misterioso era stato del tutto sorprendente.

Mi bruciava ancora il commento ironico che aveva fatto sul pugnale di Callista.

Ma con tutte le forze residue ero rimasta in silenzio e me ne ero andata, trascinando via Yveline per il gomito da quel postaccio e da quel maledetto wildred.

Non volevo sottoporla ad ulteriori pericoli, aveva già sopportato abbastanza per quella sera.

Speravo solo che la proposta di quell'uomo mi avrebbe portata nella giusta direzione.

Dopotutto un inizio era sempre un inizio.

E tra esattamente due giorni l'avrei dovuto rivedere. Lui e l'altro di nome Garrett.

«Ho bisogno di una bella dormita» mugugnai ormai sola. Se solo gli dèi avessero voluto lasciarmi questo privilegio. Il sonno aveva sempre faticato ad arrivare.
In tutti i miei ricordi non c'era mai stata una sola volta in cui avevo dormito una notte intera senza interruzioni poco piacevoli.

Sbuffando però, finalmente mi decisi a staccarmi da quella parete ghiacciata che aveva sorretto il mio peso fino a quel momento. Domani sarebbe stato un altro nuovo giorno da affrontare, e avevo bisogno di almeno un paio di ore di riposo.
Così aprì la porta di legno massiccio della camera da letto e pian piano mi iniziai a spogliare partendo dal mantello, fino ad allargare una ad una tutte le cinghie delle lame.
La prima che sciolsi un po', fu quella posizionata sulla coscia, man mano poi passai alle altre.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 7 days ago ⏰

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