Tra una cosa e l'altra, alla fine il pomeriggio arrivò molto più in fretta di quanto mi aspettassi.
Stavolta non appena la sentii, la lasciai bussare alla porta un paio di volte prima di farla entrare.
«Venite pure dentro» la invitai «Mia signora» mi salutò sempre con quella nota di riverenza nella voce, accompagnata dal medesimo inchino.
Era una strana percezione quella che avevo quando mi parlava in quel modo, come se qualcosa non funzionasse. Era un modo molto freddo e distaccato di parlare, assolutamente adatto a due sconosciute, ma per qualche motivo non volevo che si rivolgesse a me in quel modo.
Non mi piaceva. Per niente. Sentivo crescere dentro di me, la necessità che qualcuno iniziasse a trattarmi con un po' meno di timore e di riguardo.
La guardai con attenzione mentre entrava nel mio alloggio.
Questa volta indossava un abito molto diverso rispetto alla divisa delle servitrici in cui l'avevo vista stipata stamane. Portava, aderente alla pelle un morbido vestito a maniche lunghe, dal tessuto rosato che le scendeva morbido sui fianchi, arrivando a toccare fin quasi il pavimento.
All'altezza del bacino notai che si stava nuovamente torturando smaniosamente le mani.
Etichettai questo modo di fare come un suo tratto distintivo.
Forse non riusciva a farne a meno quando la situazione per lei iniziava ad essere stressante.
«C'è qualcosa che non va?» le domandai, cercando di farla sentire a proprio agio.
Suonò molto strano nella mia testa.«Avete davvero mangiato poco niente del pasto che vi ho portato. Gradirei sapere se qualcosa non fosse stato di vostro gradimento» buttò fuori di getto, dimenticandosi di prendere fiato. Adesso collegai tutto.
Forse ebbi un abbaglio, ma mi sembrò che ci fosse un po' di preoccupazione nel modo in cui lo disse. La fermai ancor prima che avesse finito di parlare e iniziasse a sproloquiare a vanvera.
«No, va bene così. Portate sempre lo stesso» le dissi.
Non mi avrebbe fatto poi molta differenza, potevano esserci migliaia di varietà di pietanze e mi sarei accontentata solo di pane e marmellata. Era un'abitudine che non mi ero mai riuscita a togliere. «Forza andiamo» le feci un cenno con la mano «la carrozza ci aspetta fuori».
Spalancò gli occhi un po' sbalordita dalla mia affermazione «dite sul serio» esclamò quasi febbricitante. Si era ripresa piuttosto in fretta.
«Certamente» le risposi con una cadenza un po' troppa apatica. A volte facevo un'estrema fatica a distaccarmi completamente dal mio ruolo.Se avessi realmente saputo sorridere in modo naturale, senza che sembrasse forzato lo avrei fatto. Cercai per una volta di sforzarmi, ma probabilmente ne uscì più una smorfia che Yveline con tutta probabilità non aveva colto, vista la sua faccia sognante. Ancora non ci credeva.
Mi ritrovai a pensare a chissà, quali cose, avesse passato questa ragazza per ritrovarsi a servire il re. E che cosa avrebbe ancora dovuto affrontare...Perché la sua vita e quella della sua famiglia fosse irrimediabilmente legata ad Avor.
Un patto o un debito di guerra, dubitavo che ci potesse essere stato qualcos'altro. Ma non avrei potuto dirlo con certezza. Almeno non le era capitata una sorte peggiore di questa, considerato il bambino che portava con sé e la madre quasi morente.
Se non avesse continuato a prendere quelle medicine con regolarità sarebbe durata, nel migliore dei casi poco più di cinque giorni, poi il dio della morte l'avrebbe presa con sè e portata nella valle Infinita. Stavo iniziando ad essere un po' troppo pensierosa per i miei gusti.
STAI LEGGENDO
MOONSHINE- La Congrega delle Cacciatrici
Fantasy*Per tutti gli amanti di Sara J. Maas, Rebecca Yarros, Jennifer L. Armentrout, Cassandra Claire e scrittrici di questo genere...Questo libro potrebbe fare al caso vostro* Quando Tessandra riceve una lettera dalla rettrice del Moonshine, mai avrebbe...