Capitolo 3

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Appena il re se ne andò, rivolsi l'attenzione alla donna che presupponevo fosse una delle ultime servitrici rimaste al castello.

Rimasi un po' sorpresa quando, uscendo completamente dalla botola, vidi per intero la sua figura minuta.
Era davvero molto giovane per il ruolo di ancella reale. Per quel che ne sapevo, nelle corti di solito le dame si circondavano di ancelle più esperte e anziane.
Chissà da quanto tempo era al servizio di re Avor per essere riuscita ad ottenere un ruolo così importante a una giovane età.
«Mia signora» disse con voce delicata e tremante. «Vi prego di seguirmi» mormorò, facendo prima un leggero inchino.

Così feci e seguii la ragazza avanti e indietro per gli androni del castello.
Ammirai il modo in cui sembrava destreggiarsi tranquillamente tra un ambiente e l'altro del palazzo. Sapeva sempre dove andare. Mi ci sarebbe voluto parecchio tempo per memorizzare ogni singolo spiffero di questo castello.
Dèi, ma non finivano mai?
Ero qui da pochissime ore e già iniziavo a non sopportare più questi labirinti di pietra.
Come facevano a non perdersi i reali e chi lavorava all'interno delle mura? Per me stava diventando un curioso mistero da svelare, anche perché sembravano tutti uguali.
Dovevo recuperare al più presto una mappatura del castello.

Lasciando da parte questi futili pensieri, lasciai scivolare lo sguardo su di lei, la ragazza che re Avor aveva chiamato Yveline.
Non credevo che potesse essere un diminutivo di Yvelianne, anche se possedeva lo stesso suono melodioso.
La guardai camminare con le spalle perfettamente dritte, senza nemmeno un accenno di curvatura. Aveva un insolito portamento, molto diverso rispetto ai servitori di corte, che erano tutti ingobbiti dai lavori pesanti che svolgevano.
I suoi capelli dorati, semiraccolti con delle forcine, ondeggiavano ad ogni passo che faceva.

Il mio cervello mi rispedì immediatamente l'immagine di Callista. Era stato un ricordo rapido, ma abbastanza potente da mozzarmi la vista per un attimo.
Maledetto bastardo.
Però era vero. Le assomigliava davvero tanto. Troppo, a dire la verità.

Ad interrompere il filo del mio passato fu la sua voce, che mi risucchiò alla realtà.
«Questa sarà la vostra stanza» disse fermandosi davanti alla porta del mio nuovo alloggio, cioè nella stanza dove sarei dovuta rimanere per tutto il periodo che avrei trascorso qui ad Irvin.
«Venite, ve la faccio vedere» affermò prima di aprire la porta. «Entrate pure».
Anche questa volta feci come mi aveva detto.

Quando entrai dopo di lei, rimasi sbalordita. Vista da questa prospettiva, sembrava che fosse grande almeno il triplo di quella che mi era stata assegnata alla Congrega.
Mi aveva dato una delle camere riservate agli ospiti più importanti?
Probabilmente sì, data l'enorme ampiezza.
I miei occhi si posarono involontariamente sulla mobilia. Non avevo mai visto arredi simili, nemmeno alla Corte dell'Est. Ciò che stavo guardando e ammirando era estremamente eccessivo per i miei gusti. Un letto abbastanza soffice e un mobile dove impilare i pochi vestiti mi sarebbero bastati.

Ma sembrava che re Avor apprezzasse circondarsi di arredi e tappeti pregiati.
Tutto il contrario di quel dormitorio comune, grigio e insipido su cui avevo dormito per anni, accerchiata da spifferi e muffa su ogni parete. Con delle coperte che non servivano a scaldare nemmeno le dita delle mani o dei piedi. Molte volte, durante le notti ghiacciate, mi ero svegliata in preda al torpore e alla perdita di sensibilità.
Questa notte avrei finalmente avuto l'occasione di dormire su un vero letto, comodo e accogliente.

Non sapevo bene cosa provassi, ero un po' titubante perché l'agiatezza e la comodità non erano qualcosa che apparteneva al mio essere, a com'ero stata cresciuta.
Questa camera da letto avrebbe potuto ospitare perfettamente almeno una decina di cacciatrici. Mi guardai attorno, osservando minuziosamente l'interno.
Dall'altra parte della stanza, di fronte al punto in cui mi trovavo, c'era un'ampia vetrata da cui riuscivo a vedere il giardino interno del castello, ben tenuto e curato dai giardinieri reali.

Le nivalis, i fiori d'inverno dai petali bianchi, erano già sbocciate.
Erano davvero meravigliose.
Rimasi incantata a guardarle. Non avevo mai avuto l'occasione di vederle o di scorgerne una durante i miei viaggi. Ero senza fiato; possedevano una tale delicata bellezza...

Conscia del mio comportamento, mi sforzai di ritrovare la mia compostezza.
Poi mi voltai verso di lei, che era ancora rimasta appiccicata allo stipite della porta.
Non aveva emesso nessun suono da quando ero entrata in quella stanza.
Non le era sfuggita nemmeno una singola parola.
Inoltre, avevo notato come intrecciava, in modo ansioso, le dita delle mani.
«Grazie» le dissi, rivolgendomi in tono rassicurante, con un accenno di sorriso. Non volevo spaventarla o innervosirla più di quanto non fosse già.

Sapevo che le persone provavano una sorta di timore reverenziale verso di me. Dovunque andassi, sapevano chi ero e cosa facevo.
A volte, ad essere sincera, questa cosa mi opprimeva e rendeva le mie spalle pesanti.
Non era raro scorgere negli occhi della gente, o dei passanti, quel misto di rispetto e timore.
Era una sensazione che ormai conoscevo bene.
In certi momenti mi era capitato, anzi, mi ero sorpresa più che altro a domandarmi se qualcuno mi avrebbe mai guardata per ciò che ero davvero, senza sentire il peso che accompagnava il mio titolo.
Decisi che, almeno nei suoi confronti, non volevo risultare troppo minacciosa.
Avvertivo il desiderio che, almeno qualcuno tra quelle mura, potesse non considerarmi solamente come una spietata assassina della Congrega.

«È il mio compito» disse semplicemente.

Il modo in cui pronunciò e si sforzò di far uscire dalla bocca queste poche parole mi fece sentire ancora più sopraffatta da ciò che stavo provando in quel momento.
Non mettevo in dubbio che lo stesse facendo solo per questo motivo.
Non ci conoscevamo ancora, eppure l'effetto fu sempre lo stesso.
L'ennesima prova di questo profondo desiderio che stava pian piano crescendo e mettendo radici nel mio animo.
Dentro di me sperai che presto o tardi non sarebbe stato così.
Forse speravo di poter cambiare qualcosa o... forse dovevo farlo io.

«Se avete bisogno, sono nella stanza accanto, mia signora» affermò, facendo un inchino e prendendo tra il pollice e l'indice i lembi della sua divisa da ancella.
Richiuse con un tonfo la porta alle sue spalle e mi lasciò da sola.
A quel punto, non potei fare a meno di abbandonarmi di nuovo nella profondità della mia psiche.


***

SPAZIO AUTRICE (spiegazione)
Eccoci qui, arrivati alla fine di questo breve capitolo!!
Spero con tutto il cuore di avervi trasmesso una parte di Tessandra, quella parte bisognosa e smaniosa che risiede dentro ognuno di noi. 
Il bisogno di essere e sentirsi accettati, e la continua ricerca di riuscire a  soddisfare le aspettative del prossimo. 

Tessandra dentro di sè sta cercando la luce, qualcosa a cui aggrapparsi. Un'emozione che pian piano sta crescendo dentro di lei e sta facendo diventare la sua solitudine sempre più soffocante. Eppure non riesce a capire perché senta così forte l'urgenza di cercare qualcosa, di trovare una via di salvezza, quando sembra che tutto intorno a lei la spinga a nascondere la propria vulnerabilità.

MOONSHINE- La Congrega delle CacciatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora