CAPITOLO 1

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Era ufficialmente arrivato il tempo  delle vacanze

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Era ufficialmente arrivato il tempo  delle vacanze.

Di sicuro il periodo dell'anno che aspettavo con più gioia ma che finiva sempre per terminare troppo presto.

Era mattina presto, circa le cinque, quando i miei genitori hanno buttato giù dal letto me, le miei sorelle e i mie fratelli per partire per la Puglia. Come se ci volesse tanto per arrivare!

Abbiamo indossato i costumi sotto i vestiti; poi abbiamo aiutato mamma e papà a caricare la macchina, una sorta di catena di montaggio in cui il mio compito era quello di fare supporto morale.

Diciamo che Damiano - mio fratello maggiore, il più grande tra tutti - non l'ha presa nei migliori dei modi. Sfortunatamente per lui a 17 anni non poteva già permettersi  di fare quello che faccio io, a quel tempo Eugenio ed Azzurra avevano 10 anni e mamma tendeva ancora esonerarli dal dare una mano, io, invece, di anni ne avevo 6 e venivo piazzata sul seggiolone in macchina collassando dopo pochi minuti. Tommaso, bhe Tommaso è Tommaso, il cocco della mamma. Perla ancora non era nata; avevo 10 anni quando mamma, alla giovane età di 45 anni, aveva annunciato di essere incinta, e a 11 ero ufficialmente diventa una sorella maggiore.

Che dire, una famiglia numerosa la nostra. I miei, ogni qualvolta rivelavano la loro età venivano accolti da esclamazioni quali "ah, avete iniziato presto!". Era sempre bello vedere il volto di mia madre diventare rosso per il tentativo di non rispondere a tono a quelle battute non volute.

Dopo quattro ore e ventiquattro minuti arrivammo al villaggio.

Sono la prima a scendere dalla macchina spinta dall'impellente bisogno di sgranchirmi le gambe e la schiena e anche di riposare le mie povere orecchie. Stare in macchina con altre sette persone non è proprio il massimo, sopratutto con una come Perla - da me soprannominata la Furia - che ogni due minuti non faceva altro che domandare ai nostri genitori se fossimo arrivati. E i miei, con le loro vocine da veri genitori completamente andati per il loro figlio, non facevano altro che fomentare le sue false aspettative dicendole:«Si patatina, siamo arrivati.»

Damiano ha dormito tutto il tempo con la bocca spalancata e la bava che gli scendeva sul mento. È stato abbastanza divertente all'inizio, quando lo riprendevo con il cellulare per aggiungere un nuovo video alla cartella "ricatti". Poi la sua testa si è poggiata sulla mia spalla e la sua schifosissima saliva mi è finita sulla maglia, ho lanciato uno di quegli urli che papà si è spaventato e ha leggermente sbandato con la macchina. Damiano non si è svegliato. Figurarsi, ha il sonno talmente pesante che quando andava ancora a scuola mamma doveva iniziare a chiamarlo dieci minuti prima che suonasse la sveglia. In compenso mi sono beccata un ulteriore partaccia da parte di mia madre, prima che scoppiasse a ridere vedendo la mia espressione non poco infastidita. Il lato positivo in tutta questa faccenda è che Damiano ha girato la faccia dal lato del finestrino e ha lasciato in pace la mia spalla.

Tommaso, seduto alla mia destra, ha guardato tutto il tempo video di gattini che fanno cose stupide su YouTube. L'ho sempre pensato e lo ribadisco: Tommaso da grande diventerà un vero gattaro.

Eugenio e Azzurra sono i due nerd della famiglia. A volte non li capisco quando parlano, anche perché essendo gemelli è come se avessero sviluppato fin da quando erano piccoli un linguaggio tutto loro.

E infine, in mezzo a tutta questa comunità, eccomi presente. Rigorosamente seduta nel mezzo, rigorosamente senza cuffiette perché il karma ha voluto farmela pagare e me l'ha fatte dimenticare a casa. Rigorosamente sfigata, come sempre d'altronde.

«Grazie per avermi sbavato addosso».

Damiano ride passandomi davanti, seguito poi da Tommy con il viso ancora attaccato al cellulare.

Per evitare altri brutti scherzi da parte del mio karma, decido che forse è arrivato i ll momento di svezzarmi e do una mano a scaricare le valige ed ammassarle in un angolino - per modo di dire visto la quantità - all'interno del capannone messo a disposizione dal villaggio.

«Prendi Perla dal seggiolino», ordina mamma passandomi accanto con un borsone in mano.

Annuisco e apro lo sportello della macchina. Sporgendomi al suo interno cerco di staccare la cintura del seggiolino e prendo in braccio Perla. Lei mi allunga le braccia cercando di aggrapparsi per bene al mio collo poi, mentre mi tiro fuori, mi allaccia le gambe alla vita.

«Sole, siamo allivati ora?» annuisco e le poso un bacio sulla testolina riccia.

A quattro anni Perla ancora non riesce a pronunciare la erre a dovere, strappandomi un sorriso ogni qualvolta ci tenti. Mamma la sta portando da un logopedista proprio per tentare di risolvere questo problema.

Resta calma in braccio a me, le braccia ancorate al collo e le gambe che cercano di stingersi intorno alla vita. Questa sua pacatezza mi mette ansia alle volte, sintomo di un futuro progetto malefico che si sta realizzando all'interno della sua testolina. Già me la immagino quando sarà grande pronta a conquistare il mondo.

Finito di scaricare tutto, papà sale in macchina per andare a parcheggiare mentre mamma entra nella hall a fare l'accettazione e a domandare i tempi di attesa per l'appartamento.

Fine agosto vuol dire solo una cosa per i villaggi: famiglie con bambini piccoli. Tante famiglie con bambini piccoli. Non mi sorprende infatti vedere pochi ragazzi della mia età. Pazienza! Anche quest'anno farò amicizia l'anno prossimo. Un mantra che ormai si ripete da diciassette anni a questa parte.

Osservo la carcassa di adulti addossati davanti l'ingresso della hall attendendo il loro turno per l'accettazione, altre sono sedute per terra a giocare a carte, altre ancora - tra cui spiccano le teste dei miei fratelli - sono davanti il tavolino dell'accoglienza a racimolare qualche bicchiere di succo e qualche stuzzichino. I bambini, invece, fanno ciò che sanno fare meglio in vacanza: urlano e corrono - proprio come farebbe Perla se non mi fosse accoccolata in braccio -.

«Sole, Sole», Furia mi batte la manina sulla spalla mentre continuo a girare la testa nel tentativo di capire come stia andando la questione relativa alle case.

«Soleeee» si lamenta. La guardo in viso aggiustandola meglio in braccio per evitare di farla cadere. Accarezzandola sulla fronte le sposto indietro i capelli che appiccicati dal sudore gli finisco davanti agli occhi.

«Un ragazzo ti gualda» poi indica alla mia destra.

Mi giro, già pronta a chiedere scusa a chi sta indicando e a dirle di non indicare perché è maleducazione. Ma poi lo vedo, il cervello mi va in pappa e alla fine le parole mi rimangono incastrare sulla lingua che non sa più come muoversi. 



Nota autrice: 

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