fiori su un pianoforte

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Il viso di Fleur non le appartiene più, ormai, è suo e solamente suo.
Lo pensa mentre rifinisce i dettagli del suo occhio destro, leggermente socchiuso. Azzurro, una punta di grigio per il riflesso.
Lo guarda intensamente. Non gli era mai capitato di innamorarsi anche di un suo quadro.

È il secondo ritratto che fa di lei, oltre ad una lunga serie di bozzetti inconclusi. Non si darà pace finchè non riuscirà a catturare completamente la sua essenza.
Questo è perchè Vincent aveva sempre ritenuto le donne tutte uguali, prima di conoscere Etienne.
Poi, le aveva ritenute tutte immorali, prima di conoscere Fleur.
Poi, aveva capito che ci sono mezze vie, seppur deludenti, nelle quali le donne sono un po' donne e un po' puttane. Etienne era un forte sostenitore di questo.
Ci aveva anche scritto una poesia, una volta.
Apri le gambe, fanciulla, come una madre nel parto.
È l'unica frase che ricorda, della composizione simposiaca dell'amico. Non perchè non avesse ascoltato, ma perchè era ubriaco.

Non ci sono molti momenti di totale sobrietà dal periodo in cui aveva iniziato a vendere da solo i suoi quadri e aveva conosciuto alcuni aspiranti pittori che bazzicavano Montmartre esattamente come lui.
Raphael, Amedée, Antoine e Lucien. A volte i loro nomi gli tornano in mente.
La vita non era stata clemente con loro, sebbene avessero vissuto a pieno i loro ideali.
Due si erano suicidati nella Senna, a distanza di mesi. Uno aveva accoltellato un vecchio amico. Vincent non riesce a ricordare che fine avesse fatto il quarto, ma probabilmente si trova nel manicomio di Bicêtre.
Le sensazioni che gli restano, però, sono di come fosse liberatorio parlare con anime affini, tormentate ma affascinanti, quasi morbose nella loro ricerca di appagamento.

La vita non è solo caos, Vincent, la vita è come riesci a trasformare in Arte il caos. Danser sous la pluie et crier dans le vent, c'est un chaos transformé en art [1].
Mai, neanche una volta, avevano parlato di sesso. Quello, era argomento da poeti.
Avevano sì parlato dell'amore empirico, della morte, della vita terrena e della gioia di essere in grado di sentire, percepire ciò che li circonda e trasformarlo in un quadro.
Lui, per suo conto, sentiva di essere fuori posto in mezzo a loro.
Al sesso ci pensava spesso, soprattutto quando era solo. Col tempo aveva imparato a seppellire il sentimento sotto strati di inconsistenza, mettendosi in bocca parole non sue. L'argomento lo metteva a disagio, sebbene un tempo fosse stato un qualcosa di necessario per lui. Voleva amare una donna, voleva perdere con lei la sua parte più infantile. Voleva essere come i suoi amici.
Invece, le ragazze non lo guardavano, era un pittore squattrinato e poco affascinante. Era senza soldi ma non come lo erano loro, che sopperivano alla mancanza con la loro incredibile personalità.
Era un guscio vuoto, spettro di sé stesso.

Ora, tutte queste erano stronzate. Era stato con qualcuno e non sapeva neanche il suo vero nome.
Eppure, le sensazioni gli tornavano alla mente. La sua pelle, il suo seno morbido, il piacere indescrivibile che aveva provato.
Non con Fleur, Etienne aveva ragione, ma con una prostituta. Quello, lo aveva cambiato nel profondo. Una soddisfazione di un altro mondo, un qualche cosa di non spiegabile a parole.
Fleur era da amare, non da farci l'amore. Come lui non era da amare.

Il senso di colpa gli teneva il cuore con una stretta.

Lui non era un santo, non era una buona persona, non era un uomo da avere accanto.
"Apri le gambe" lo aveva detto a Fleur, qualche giorno prima, mentre era seduta composta sulla sedia sfondata nel sottotetto.
-Apri le gambe, mettiti dritta contro lo schienale. Non hai bisogno di sederti in quel modo.
Fleur aveva ubbidito senza aprire bocca, forse troppo imbarazzata.
Ripensandoci, si era sentito un animale, anche se in quel momento, con la sigaretta in bocca e il pennello nella mano, si era considerato più Don Giovanni che Quasimodo [2].
Lei, poco dopo, si era alzata e se ne era andata.
Non l'aveva rincorsa, si era limitato a guardarla andare via, camminando leggera come una fata sulle sue scarpe bianche col tacco che facevano rumore ad ogni passo.
A ogni tac Vincent si sentiva più stupido.

-Fleur, io— aveva detto sottovoce.
Lei si era girata comunque, come se lo avesse sentito senza capire le parole pronunciate.
-Vincent, hai qualcosa da dirmi?
-Quando vuoi, mi trovi qui.

Posa il pennello, ancora macchiato di tempera e si dirige verso il pianoforte appoggiato contro una parete della piccola stanza. Non lo usa da tempo, si scorda spesso che sia lì. A volte, invece, ha la necessità di usarlo.
Si siede sullo sgabello e tocca i tasti bianchi con le dita.
La. Scordato.
Sol. Scordato.
Fa un sorriso tra sé e sé. Nessuno può sentirlo, tanto e a lui non interessa. Si sente come quel vecchio pianoforte, malandato e dimenticato.
"Invito alla danza" di von Weber, l'unica composizione che ricorda a memoria.
La musica lo libera, gli consente di concentrarsi solo sul movimento delle sue dita veloci sui tasti e di non pensare a nulla.
Il brano dura dieci minuti, quando finisce si sente come tornato da uno stato di trance.
Fuori è già buio, se le campane avessero suonato, comunque non le avrebbe sentite. Si alza e si avvicina alla finestra, i lampioni sono accesi e i rumori sono pochi. Alcune voci, alcune risate.
Si accende una sigaretta tirata fuori dalla scatolina metallica.

Improvvisamente sente battere alla porta. Si volta con un sussulto, la sua quiete è stata interrotta.
-Chi è?— urla, avvicinandosi al rumore.
-Signor pittore, sono io, mi apra, la prego.
La voce della ragazza lo colpisce dritto al cuore come una freccia. Fleur? Fleur sta bussando alla porta della sua squallida mansarda. Fleur vuole che lui le apra, ha fatto tanta strada per venire fino a lì.

Vincent corre, afferra la maniglia e si trova la sua Musa davanti, gli occhi rossi e il trucco colato sulle guance.
-Fleur, tu— la sua voce si blocca in gola — entra.
Lei lo supera, il lungo vestito ha i bordi strappati, una spallina è caduta e ora dondola contro il suo braccio ad ogni movimento. Non ha quasi nulla addosso e, sebbene sia primavera, fuori deve aver avuto molto freddo. Le si avvicina con una coperta, ma lei scuote la testa come spaventata.
-Ti prego Vincent, non farmi domande.- dice con voce flebile.
-No, io... certo che no. Vuoi un bicchiere? Questa domanda posso fartela?
Lei sorride, annuendo.
-Posso dormire qui stanotte?

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[1] traduzione letterale: "ballare sotto la pioggia e urlare nel vento è il caos trasformato in arte."
[2] Quasimodo, il protagonista mostruoso del romanzo "Notre Dame de Paris" di V. Hugo.

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