cupido che fabbrica l'arco

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Montmartre, sette del mattino.

Il ragazzo è seduto sul ciglio della strada. Si strofina le mani l'una con l'altra, non per scaldarle ma per mettere un freno all'agitazione che lo sta consumando.
È una sensazione spiacevole, quella che anticipa la soddisfazione al suo desiderio. Un nodo allo stomaco gli fa palpitare il cuore, sente la punta delle orecchie andare a fuoco e deglutisce a fatica.
La saliva gli si blocca in mezzo alla gola.

Dov'era?
Dov'era quell'angelo che gli aveva fatto fermare il cuore per la prima volta? Colei che aveva reso silenziosa la sua angoscia e offuscato la disarmonia dei suoni provenienti dalla città, perché tardava?
No, lei non tardava affatto, non aveva mai detto per che ora si sarebbe fatta trovare nella piccola piazza.
Man mano che aspettava, lo sconforto si faceva strada dentro di lui.

Il sole è appena sorto e Vincent è seduto sulla strada, gli occhi attenti per vedere se qualcuno di familiare appare dall'ombra delle vie. Si passa una mano tra i capelli scuri che gli oscurano la visuale, quasi trema nel compiere quel movimento.
Gli alberi ondeggiano alla brezza leggera e frizzante del mattino.
C'è silenzio, pur essendo così vicini alla città, sembra di essere in un mondo completamente diverso.

Un tuffo al cuore quando vede due donne passargli davanti. Ma sono entrambe castane, nessuna delle due è Fleur.

Cupido, cosa mi hai fatto?
Il suo cuore sembra piangere dalla disperazione.

Accanto a lui, Etienne, il poeta, sta mangiando un croissant. Entrambi guardano fissi davanti a loro.

-Dove l'hai preso, quello?
-Dal fornaio qua dietro.
-È aperto?
-No, Vinc, ma tanto io non avevo soldi.
-Fammi dare un morso.
-Sì— il ragazzo castano gli passa ciò che stava mangiando avidamente, stringendolo con le sue dita affusolate e incoronate da anelli di metallo— ma solamente perché mi sembri più morto che vivo.
Vincent prende un boccone, gli sembra di non toccare cibo da un'eternità. Il suo stomaco adesso comincia a brontolare, risvegliato da quel piccolo assaggio di nutrimenti.
-Fammi dare un altro morso.
-No, pezzente.
-È solo un croissant che hai rubato.
-Ma ci ho messo la faccia e ho rischiato io per averlo.
Il pittore lo liquida con un gesto della mano.
-L'avarizia è peccato capitale.
-Oh, insomma, Vinc. Sei l'unico che ancora crede in Dio.
-Non credo in Dio, penso solo che sia saggio evitare di farlo arrabbiare.

Etienne resta in silenzio qualche secondo, poi gli porge ancora una volta il croissant mezzo mangiato. Vincent ne prende un pezzo, con un sorriso sulle labbra.
-Mh? Pensavo non credessi.
-È solo una buona azione.

Il pittore si volta a guardare il poeta suo amico.
Vestito con pantaloni di lino e scarpe evidentemente costose prese in qualche negozio di Parigi, Etienne era bello e molto colto, tanto da quasi farlo apparire intelligente.
Occhi piccoli compensati da folte sopracciglia, mascella squadrata, labbra spesse e pelle rosea. Vincent lo invidiava da morire.

Etienne non era come lui. Aveva scelto di rinunciare a una carriera, aveva abbandonato Nancy e la sua famiglia, ma non avrebbe mai rinunciato a tutti i suoi precedenti averi e, bei vestiti mischiati al suo gradevole aspetto, facevano sì che avesse sempre uno strascico di donne al suo seguito.
Le poesie che scriveva erano sempre per una diversa.

Oh Vinc non puoi capire, Rose è l'amore della mia vita. No, Vinc, è Bernadette, ma anche Laila, poi Lucille, forse Sofie.
Un poeta che fa da maschera a un amante dell'amore.

-Belli i tuoi pantaloni.— dice Vincent dopo attimi di silenzio in cui entrambi stavano solo masticando.
-Tu dici "bello", ma non sai cosa sia la Bellezza— Etienne si ferma a guardare il cielo con un'espressione da chi sa più di quanto il suo sfortunato interlocutore possa mai sapere.
—Bellezza con la b maiuscola.- aggiunge infine.
-Risparmiami le tue stronzate, almeno adesso.
-Non sono stronzate, solo un vero artista può immaginare la Bellezza e crogiolarsi nel suo candido e materno pensiero.
-Io so cos'è, è Fleur.
Il ragazzo dagli occhi verdi lo guarda mentre si lascia trasportare dalle risate.
-Amico mio, io dico che sei solo innamorato perso e hai gli occhi annebbiati, ecco tutto.
-Che stai dicendo?
-Vedi, caro piccolo Vinc, una donna non può essere Bella con la b maiuscola. "Perché?" chiederai al tuo saggio amico. Ecco, è perché sono esseri imperfetti, mentre la Bellezza è astratta e quindi, per antonomasia, perfetta e applicabile solo ed esclusivamente in ambito concettuale. Mi dirai che i miei pantaloni sono belli, ma non è così, sono sgualciti, macchiati di fango ai bordi e scuciti in alcuni punti. Non sono belli, sono gradevoli se si chiude un occhio su certe cose.
Una donna raggiunta una certa età appassisce e si rovina, come questi pantaloni. A volte è appassita già in giovinezza.
Una poesia, invece, è immortalmente bella, finché sarà ricordata, così come un quadro ben conservato. È Bellezza al di là del materiale, pura arte. Per questo io ti dico che, amico mio, tu non sai proprio nulla.

Vincent si volta dall'altra parte e smette di parlargli.
Il suo amore per l'Arte e per Fleur vanno a pari passo.

Ora il sole è alto nel cielo, le nuvole si sono allontanate lasciando spazio ad un azzurro limpido.
Il pittore e il poeta sono seduti nello stesso posto, entrambi stanno fumando una sigaretta girata. Etienne sventola la mano davanti alla propria faccia, cercando di allontanare il fumo.
Vincent non vede nessuna chioma dorata, nessun viso neanche lontanamente paragonabile a quello del suo angelo.
Si morde le unghie delle mani, tra un tiro e l'altro.

-Che si sia scordata di me?
-No, Vinc, è una donna. Amano farsi attendere.
-Magari non l'ho vista passare.
-Stai calmo, è solo mezzogiorno.

Improvvisamente, un colpo al cuore. Una freccia scoccata così precisa da non fargli neanche male.
Fleur, camminando a pochi metri davanti a lui, lo vede e fa un piccolo e grazioso inchino.

-Salve, signor pittore.

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