17.

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Samuel

È il mondo che è crollato, o sono io che sto cadendo a pezzi? I miei occhi restano fissi sulla sagoma di Lana, ricoperta di sangue, gli occhi chiusi e il volto pallido come la cera. Il padre è in ginocchio di fronte a lei, le mani tremanti mentre cerca di scuoterla delicatamente. «Lana, Lana, amore mio, Lana mi senti?», la sua voce si spezza in un sussurro disperato. Accanto a lui, Olga e Matilde sono inginocchiate, il viso rigato di lacrime. la donna delle pulizie, con il telefono ancora in mano, singhiozza: «Ho già chiamato un'ambulanza», la voce strozzata dall'angoscia.

Io rimango immobile, paralizzato. Non riesco a respirare, il panico mi soffoca. Cos'è successo? La scena davanti a me sembra irreale, come se stessi guardando un film. Mi avvicino anch'io, con il cuore che martella nel petto. «Piccolo Koala?», sussurro, inginocchiandomi accanto a lei. Le sfioro la guancia fredda, cercando disperatamente un segno di vita. «Dimmi che è uno scherzo, una ripicca, dimme qualcosa, cazzo!», urlo, mentre le lacrime iniziano a scendere copiose dai miei occhi, rendendo tutto ancora più confuso e surreale.

L'attesa dura poco. L'ambulanza arriva, i paramedici trasportano Lana all'ospedale più vicino, proprio quello dove lavora mia madre. La sirena squarcia l'aria, e l'angoscia cresce con ogni istante che passa.

Il tragitto in macchina con Marco, Olga e Matilde sembra il viaggio della speranza, ma il traffico di Roma ci rallenta, trasformando ogni minuto in un'eternità. «Levateve dal cazzo!», grido affacciato dal finestrino, agitando un fazzoletto bianco come se potesse aprire un varco tra le auto. Marco, di solito così composto, suona il clacson con furia, il suo volto è contratto. «È colpa mia, non la dovevo far uscire, è colpa mia», mormoro, quasi tra me e me.

«Perché? La signorina è una così brava ragazza, chi potrebbe essere stato?», chiede Matilde, la voce tremante, gli occhi gonfi di lacrime. Il silenzio che segue è pesante, carico di domande senza risposta, di paure inconfessabili, di un dolore che sembra troppo grande da sopportare.

Ormai pensavo che dopo mio padre... mio padre. L'ultima volta che l'ho visto in ospedale... Non ne ero sicuro al cento per cento, ma l'istinto mi diceva che era lui. Quel pezzo di merda l'ho visto per tutta la vita, conosco ogni linea del suo viso, ogni dettaglio della sua espressione. E se fosse stato lui?

«Marco, le telecamere!», esclamo improvvisamente, «Le telecamere potrebbero aver registrato qualcosa, dobbiamo controllà», insisto, cercando una risposta. Marco annuisce, le nocche diventano bianche mentre tiene saldamente il volante. «Le daremo alla polizia», afferma .

Appena arriviamo, mi catapulto fuori dall'auto, senza neanche prendere il tempo di chiudere la portiera. Corro a perdifiato, le scarpe sbattono sull'asfalto mentre mi dirigo verso la grande porta scorrevole del pronto soccorso. Con le mani tremanti, premo con forza il dito sul pulsante.

Una voce pacata mi raggiunge mentre la porta si apre lentamente, «Un attimo, un attimo», È Sofia, il suo viso serio tradisce la gravità della situazione. «Sam...», sussurra il mio nome, e nel suo sguardo leggo una tale preoccupazione che il mio stomaco si stringe. «Dov'è? Come sta?», chiedo, il cuore martellante nel petto.

«È in sala operatoria», risponde lei con voce sommessa, «non so altro, Sam. Chiamo tua madre». Le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. Senza dire una parola, faccio due passi indietro, sento il vuoto prendere il sopravvento. La porta si richiude di fronte ai miei occhi.

Scivolo lungo il muro alle mie spalle, sento il freddo del pavimento contro il mio sedere. Un'ombra attira la mia attenzione, alzo lo sguardo è Vittorio, ha gli occhi tristi, più del solito, le rughe del suo viso sembrano ancora più pronunciate, ha delle occhiaie scure e i suoi occhi azzurri sono lucidi. Scuote la testa e si siede vicino a me, per terra, e se non fosse un momento così drammatico, farebbe ridere la scena, un signore composto, in giacca e cravatta, vicino a un rozzo come me, con una canotta della salute e dei bermuda di tuta grigi, seduti su un pavimento lurido pieno di batteri e germi. È strano che sia venuto, è solo un dipendente, ma infondo l'ha vista crescere , sembra molto legato a lei.

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