25.🔥

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Samuel

Inevitabile, ecco cos'era: inevitabile. Cosa mi aspettavo? Che non lo avrebbe mai scoperto? Cazzo, Samuel, quanto sei idiota.

Non riesco a credere che siamo arrivati a questo punto. La lite con Lana ha squarciato il velo di illusioni che ancora mi tenevano insieme. Mi illudevo di riuscire a starle lontano, mi illudevo di non essere abbastanza per lei, di essere solo suo fratello. Mi sono illuso così tanto da non sapere più quale sia la realtà. Come quando da bambino dicevo le bugie a mia madre e, alla fine, per quante volte le ripetevo, ci credevo sul serio.

L'unica cosa che non è cambiata è quello che provo quando la vedo. Lei è un frastuono in mezzo al silenzio, una goccia d'acqua in un deserto arido. Lei è il mio piccolo koala.

Ho fatto troppi errori, lo so. Ogni passo falso, ogni bugia detta per evitare il conflitto, ogni volta che ho deluso le sue aspettative... tutto si è accumulato come un macigno sul nostro rapporto. Lana mi guardava con quegli occhi che una volta brillavano e ora sono offuscati dalla delusione.

Le mie mani tremano mentre ripenso alle nostra discussione, ai momenti in cui avrei potuto scegliere di essere migliore e invece ho scelto la strada più facile, quella che mi ha portato lontano da lei.

Vado via da casa di Leonardo un'ora dopo. Ho bisogno di stare da solo, di riflettere. Decido di andare nel mio posto sicuro. Salgo sullo scooter, metto il casco, e mi avvio per le strade di Roma. È notte e la città sembra avvolta in un manto di mistero e bellezza senza tempo,

Le luci gialle dei lampioni illuminano le strade deserte, proiettando ombre lunghe e spettrali sugli edifici storici. Passo per Trastevere, dove i vicoli stretti e acciottolati sono silenziosi, come se la città stessa stesse trattenendo il respiro. Il Tevere scorre lento e maestoso, riflettendo le luci della città sulla sua superficie increspata.

La brezza notturna accarezza il mio viso mentre i miei pensieri si intrecciano come un rebus senza soluzione. Non riesco a togliermela dalla testa. Dio, quel bacio... È stato così unico che non riesco a trovare degli aggettivi esatti per descriverlo. Lana questa sera era diversa, bella in un modo che mi lasciava senza fiato, ma sotto quella corazza ho riconosciuto i suoi occhi, quegli occhi che riconoscerei anche in un mare in tempesta. Nonostante ostentasse tutta quella sicurezza, ho visto il suo lato vulnerabile. Lo capivo da come tremava, da come il suo respiro si spezzava. Quel momento mi ha marchiato a fuoco, rendendomi incapace di pensare ad altro.

Arrivo al giardino degli aranci e parcheggio lo scooter. Il posto è immerso in una tranquillità surreale. Scorgo la macchina di Lana e, poggiato su di essa, c'è Vittorio. Indossa una camicia bianca e jeans, un abbigliamento informale che non gli avevo mai visto. Ha le braccia incrociate e un'aria pensierosa.

«Vittorio, che ci fai qua?» gli chiedo avvicinandomi.

«Lana mi ha chiesto di portarla qui, ma voleva rimanere da sola. Sembrava turbata, non ha voluto parlare», risponde lui con uno sguardo preoccupato.

«Capisco. Vai pure a casa, Vittorio. La riaccompagnerò io», dico, cercando di rassicurarlo. Lui però resta immobile, il suo sguardo è cupo, un mantello di tristezza ricopre le sue iridi blu

«Sei sicuro? Va bene, grazie Samuel.»

Mentre Vittorio si allontana, mi avvicino all'entrata. C'è un silenzio quasi reverenziale. Non c'è nessuno, solo Lana, di spalle nel suo vestito nero che fa risaltare il suo fondoschiena. Resto fermo per un attimo, lo guardo come un maniaco, ma è così tondo, così invitante da farmi venire in mente l'idea di mandare tutto a puttane, vorrei avvicinarmi morderlo, toccarlo e sculacciarlo, per avermi fatto un gavettone e soprattutto per avermi provocato.

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