1 - Le buone notizie si danno in coppia

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Esiste la ricetta del perfetto disastro? Dovreste porre questa domanda ad Agnese Guiotti. Potrebbe rispondervi, ma solo dopo avervi messo le mani al collo per strangolarvi forte. Con tutte le sue forze. E di forza lei ne aveva parecchia. Da vendere. Tutto merito alla rabbia che da tempo stava covando, più o meno da aprile dello stesso anno e adesso che era luglio era una rabbia che aveva avuto tre mesi di tempo per fermentare nello stomaco come qualcosa di particolarmente indigesto.

Perché, quando hai diciassette anni, a scuola vai bene, ti diverti alle feste e coltivi i tuoi hobby da giovane adolescente, ed improvvisamente vieni a sapere che da lì a pochi mesi la tua vita cambierà, verrà stravolta, passata sotto una pressa, l'unica cosa che ti resta da fare è incazzarti. Insomma, Agnese non aveva preso nel migliore dei modi la notizia che entro la fine dell'estate la sua famiglia si sarebbe trasferita in America. Trasferirsi a più di novemila chilometri di distanza dalla sua adorata Milano per ritrovarsi in un buco di periferia dimenticato da Dio, nel bel mezzo del nulla, nell'infinità della desolazione in un paese che praticamente era dall'altra parte del globo, la notizia non poteva essere presa in altro modo.

Ogni volta che spostava uno scatolone, che stizzita metteva un indumento dentro la valigia o che semplicemente si aggirava per la stanza senza una precisa e sensata motivazione, continuava a tornare con la mente al momento esatto in cui le avevano dato la nefasta notizia, esplosa come una granata tra le mani.

Era una stupenda giornata di metà aprile, clima caldo e piacevole a Milano. Aveva deciso di tornare a casa a piedi, costeggiano il parco Sempione a soli cinque minuti da casa. La giacca di jeans tra le braccia, soddisfatta ripensava al perfetto tema di italiano in cui aveva preso il voto più alto della classe e al programma del weekend, trovarsi a casa di Ludovica assieme a Edoardo e festeggiare la fine delle settimane di verifiche. La perfezione assoluta, la pace dei sensi.

Muoveva le gambe snelle pensando che niente potesse andare storto, lasciando che un rifolo di vento le scompigliasse la chioma bionda e riccioluta. Peccato non sapesse all'epoca che, varcata la soglia di casa, l'aspettava una notizia degna della Germania che invade la Polonia nel 1939.

<< Agnese, sei tu?>> Sentì la voce di sua madre dall'ingresso di casa chiamarla in cucina.

<<No, sono un pericoloso criminale che con le chiavi apre la porta di casa per ucciderti...>> C'era una sorta di appagamento personale quando rispondeva in maniera così creativa. Non poteva farne a meno. Ossigeno per la sua mente.

<<Molto spiritosa, vieni un attimo.>> Abbandonato lo zaino accanto al mobile all'ingresso seguì la voce di sua madre trovandola al tavolo della cucina, davanti a lei sedeva suo padre.

Trovò la cosa alquanto strana, non era mai a casa a quell'ora. Suo padre Alessandro era un famoso ingegnere che lavorava per un'importante società italiana impegnata nella progettazione quegli aggeggi che andavano nello spazio. Insomma, era uno di quei cervelloni che si vedono nei film di fantascienza, tutti concentrati sull'ennesimo razzo da sparare su Marte. Solo che lui lo faceva per davvero. Lei, d'altra parte, non ci capiva molto di quelle cose, trovava però molto utile farsi aiutare coi compiti di matematica e fisica per mantenere una media scolastica perfetta. L'altro lato della medaglia era vederlo rincasare sempre tardi la sera, molto spesso impegnato in qualche progetto, lo studio di qualcosa di nuovo e sicuramente di sensazionale. Anche quando si chiudeva un progetto ne seguiva uno subito dopo, senza lasciargli il tempo nemmeno di respirare. Ecco perché era insolito trovarlo a casa nel pomeriggio.

<<Papà, hai finalmente deciso di prendere una pausa? Oppure la Terra sta per essere spazzata via da un meteorite?>> Nella sua mente credeva più plausibile la seconda.

<<Non proprio, mostriciattolo.>> Gli rispose titubante, mentre grattava la testa di Pitagora, il piccolo volpino di casa. Chissà dov'è finita Ipazia...pensò Agnese, notando poi il secondo volpino in braccio alla madre. L'atmosfera era strana, i genitori sembravano troppo tesi, si guardavano l'un l'altro lanciandole strane occhiate, indecisi su chi dei due dovesse aprire per primo bocca.

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