Niente poteva abbatterla tranne un volo di nove ore da Milano a New York, il trasferimento ad un secondo aeroporto con una coincidenza per Nashville quasi persa e il caldo asfissiante di quella domenica di agosto che l'aveva accolta a braccia aperte. Il Tennessee ci stava mettendo tutto l'impegno possibile per farsi odiare. Era stanca, i capelli erano un completo disastro, un ammasso di nido color paglia posizionato sulla sua piccola testa. Le occhiaie avevano una vita propria e le ossa chiedevano pietà. Sull'aereo non era riuscita a dormire in preda ad insana agitazione. Quella strana morsa che ti prende lo stomaco quando hai la sensazione che di lì a breve qualcosa di catastrofico deve succedere, che nel suo caso, se fosse caduto l'aereo non poteva essere tanto male. Ma sentiva che il destino non poteva essere tanto clemente. No, il peggio sarebbe arrivato di lì a breve, lo sapeva. Aveva il nome di Colson High School nella sperdutissima città di Colson vicino al fiume Holston e a quarantacinque fottutissimi minuti dall'università del Tennessee, dove suo padre avrebbe lavorato al fottuttissimo progetto che l'aveva fottuta. Nemmeno un buco di casa vicino al centro abitato con più possibilità di socializzazione come Knoxville. Molto peggio, una città nemmeno degna d'essere menzionata in qualche stupida serie Tv da Netflix e divano, dove tutti si conoscono e vivono felici le loro vite, dove al liceo tutti si danno poderose pacche sulla spalla salutandosi con strette di mano come se facessero tutti parte di qualche gang o di una banda di motociclisti. Il buco dell'anonimato.
Stava mirando con fare spaesato il tabellone delle partenze, nella speranza di vedere comparire la scritta "Sei su scherzi a parte", quando venne ridestata dal guaito scontento dei due volpini all'interno della gabbietta.
Se per lei era stata una tortura viaggiare per quattordici ore seduta su un piccolo sedile stretta tra sua madre e un turista francese che non faceva altro che snocciolare sul suo viaggio per tutta l'America, non osava pensare alla sofferenza dei suoi adorati animali, compagni di sventura. Guardò in basso verso le quattro gabbiette ai suoi piedi, con un misto di comprensione e apprensione, accennando appena un sorriso. All'appello non mancava nessuno per fortuna. Mancava solo di perdere una gabbietta, avrei commesso un omicidio. I volpini Pitagora e Ipazia, entrambi dal pelo solitamente candido e soffice, ora arruffato, grattavano la porticina delle rispettive gabbiette supplicando di sgranchire le zampe. Nelle altre due invece regnava il silenzio. Ruga, la tartaruga di terra probabilmente poltriva. La vecchia tartaruga era con lei da quando era bambina. Aveva fatto i capricci per tutto il pomeriggio quando ad una fiera nel paesino dei nonni paterni aveva adocchiato l'animaletto. Aveva pestato i piedi perché gliela prendessero e alla fine aveva vinto lei. Da allora Ruga la tartaruga era diventata la più vecchia mascotte di casa. Nell'altra gabbietta c'era invece il più recente acquisto, un regalo dell'anno precedente per il suo compleanno, un coniglio ariete dalle orecchie tragicamente e comicamente lunghe, rivolte verso il basso e color caramello che aveva ribattezzato Mello. Per inciso lei aveva ben poca fantasia coi nomi, gli unici ad essersi salvati dal suo malsano gusto per i nomi erano stati i volpini, i nomi li aveva decisi il padre, lei aveva solo approvato.
<<Forza piccoli, ancora un po' di pazienza, poi prometto che potrete marcare il territorio.>>
<<Tuo padre è andato a noleggiare una macchina. Una volta arrivati a Colson potremo finalmente disfare i bagagli e a spacchettare tutto. Non sei eccitata?>> Sua madre la colse alla sprovvista, arrivandole alle spalle, ma era perfino troppo stanca anche per spaventarsi.
<<Come per una lobotomia.>> Rispose piccata. Un gioco al rialzo, più loro cercavano di trovare punti a favore più lei girava il coltello nella piaga. Una vera masochista dato che il coltello era nella sua pancia.
<<Signorina, farai meglio a farti passare quel muso lungo o non avrai vita facile qui.>> La rimproverò infine la madre. Ecco, aveva appena perso la partita. Come se a lei importasse avere vita facile. Voleva solo mettere l'avanti veloce alla sua vita e tornare in Italia.
STAI LEGGENDO
Made in U.S.A.
RomanceLa vita di Agnese Guiotti è perfetta. Ha due genitori che la amano, va bene a scuola, partecipa alle feste e si diverte con i suoi amici. Se però la Dea della fortuna è bendata, la sfortuna è una stronza con dieci decimi di diottrie. Basta uno schi...