Prologo

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Era un giovedì qualsiasi di fine agosto fino a pochi minuti fa, incredibile come la vita possa cambiare da un momento all'altro, ma io lo so bene, d'altronde tutta la mia esistenza è stata un susseguirsi di cambiamenti. La cosa peggiore è che non ci si abitua mai, sei felice, va tutto bene e ti senti come se stessi camminando sulle nuvole, d'un tratto però non hai più una base solida sotto i piedi e tutto intorno a te comincia a sgretolarsi, così come la speranza, la gioia e tutto sembra non avere più un senso.

Sono seduta sotto la pensilina di una fermata per proteggermi dalla pioggia che martella incessante sull'asfalto dettando il ritmo di un temporale che sembra non voler cessare.
Non so dove andare, fa un freddo tagliente ed è buio pesto, stringo le braccia attorno a me stessa per proteggermi, ma è un gesto inutile, il freddo mi è penetrato nelle ossa rendendo ogni mio movimento rigido, debole e impacciato.
Di tornare a casa non se ne parla, non sono più la benvenuta, quella porta chiusa in faccia è l'ultimo chiodo sulla bara di un legame che adesso non c'è più.
Raccolgo le lacrime sul viso con il dorso della mano, mi armo di ombrello e zaino in spalla mi dirigo verso la fine della strada, a qualche metro da qui c'è il Seven, un locale frequentato da molti universitari il fine settimana, per cui oggi dovrebbe essere tranquillo.
Appena varco la soglia un odore di fumo e alcol mi invade le narici quasi fino a darmi la nausea, ma come sospettavo ci sono pochi clienti, per lo più volti sconosciuti che si perdono sul fondo di una bottiglia di birra senza neanche notarmi.
Oltrepasso la sala fino ad arrivare al bancone dove trovo Leila, le faccio un cenno verso la porta che conduce all'ufficio e proseguo senza voltarmi, so che mi sta seguendo e infatti appena siamo dentro si richiude la porta alle spalle.

<< Ti aspettavo ore fa, che fine hai fatto?>> Leila ha un tono acceso ma preoccupato, mi sta scrutando per cercare di trovare le risposte sul mio viso. Le rivolgo un sorriso debole, un patetico tentativo di fingere che vada tutto bene <<Posso venire da te? Solo per stanotte>> chiedo con la voce che mi si spezza in gola.
Non sono solita chiedere aiuto, al contrario tengo sempre tutto dentro, ma mia madre è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ora sento di aver bisogno di qualcuno o di qualunque cosa che non mi faccia sentire così sola.
<<Ma certo tesoro>> Leila mi stringe in un abbraccio e non riesco più a trattenere le emozioni, senza accorgermene scoppio in un pianto silenzioso, le lacrime mi rigano le guance <<Stai tremando, devi asciugarti e cambiarti, chiudo il locale e andiamo, d'accordo?>> annuisco e sussurro un flebile <<Grazie>>
Leila e io siamo migliori amiche da anni, siamo cresciute insieme e nonostante ciò non sono mai riuscita ad aprirmi completamente nemmeno con lei. Dopo l'abbandono da parte di mio padre mi sono chiusa in me stessa e ho perso la fiducia nel genere umano. Mi è difficile esprimere cosa sento, perché ogni parola non detta è come uno scudo che mi protegge dalle delusioni.
Se qualcuno sapesse le mie debolezze sarebbe più facile ferirmi, quindi meglio prevenire che curare, giusto?
Anche se in questo momento sento che, almeno per sta notte, posso permettermi di essere fragile.

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