Capitolo 4 - La verità -

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Mi sveglio quando dei deboli raggi, di un sole che ancora nasce nel cielo, trapassa le sottili tende grigie e mi accarezza la pelle, delicatamente. Mi tiro sù, ne troppo stanca ne troppo energica, mi incammino lentamente verso il bagno, con i piedi nudi che incontrano il freddo legno del pavimento, provocandomi leggeri brividi lungo la spina dorsale. Arrivo nel piccolo bagno e noto con piacere che ha almeno le cose essenziali: un water, un lavandino e una doccia molto economica. Lo specchio purtroppo non c'è e per questo non posso vedere in che condizioni sono. Mi accorgo solo ora che ho dormito in intimo e decido di lavare gli unici indumenti che posseggo. Prendo una bacinella d'acqua calda rigorosamente in legno e ci immergo i vestiti per poi strofinarli contro una saponetta che avevo trovato sul lavandino. Dopo aver strofinato per bene strizzo i vestiti per togliere l'acqua e li appoggio sulla ringhiera della veranda della casetta. Ritorno dentro e incomincio a pensare a qualche soluzione per non tornare in quella cittadina. Qui si sta così bene e mi ricorda tanto il monolocale che aveva il nonno, nella loro casa in campagna. Qui ho un tetto, acqua corrente, un letto, un bagno ed al cibo ci penserò dopo. Non sono una mangiona. Andrò in città una volta ogni due settimane per comprare lo strettissimo necessario. La scuola, la voglio lasciare, voglio scappare da tutto, rintanarmi nel mio paradiso e vivere nel rimorso di aver ucciso mio padre. Sarò senza mia madre, cosa positiva, senza scuola, cosa positiva, e soprattutto senza William, cosa più che positiva. So leggere e scrivere, può bastare, no? Il leggero brontolio della mia pancia mi desta dai miei pensieri e mi dirigo verso il frigo prendendo una mela rossa e lucida. La mangio con tutta la buccia e butto il torsolo fuori dalla finestra della cucina. Torno in camera mia e prendo una coperta di lana dal nero sbiadito, me l'avvolgo attorno al mio minuto corpo ed esco in veranda a godermi il paesaggio e la dolce brezza di prima mattina. Sembra di essere in un altro mondo dove la natura non viene sottomessa dalla tirannia degli uomini. È la natura in tutte le sue forme, dagli uccellini che cinguettano al borbottare di un fiumiciattolo in lontananza, dalle formiche che brulicano su un tronco al fruscio che producono le chiome degli alberi quando il vento fresco gioca con le loro foglie. È tutta una cosa sola, tutto in simbiosi, armonico, delicato ma potente, spettacolare ma crudele, io mi sento legata a questo sistema perfetto. Mi sento parte di esso, la mia anima lacerata è parte di tutta questa perfezione. Un'imperfezione nella perfezione. Una goccia di acqua salata in un fiume d'acqua dolce. Un male nel bene. Un progetto eccellente. A proposito di progetti, quando avrò tempo andrò nel casolare dei miei zii per finire il progetto di papà. Mi manca davvero pochissimo per vedere realizzato uno dei tanti sogni nel cassetto di un uomo speciale, che non meritava una fine così. Noto che i miei indumenti sono asciutti e li prendo per cambiarmi in casa.

Esco dalla casetta in legno che ormai posso ritenere mia, e mi dirigo a passo svelto verso l'uscita del bosco. Ci vogliono tre quarti d'ora per raggiungere il confine che delimita la distesa di alberi. Corro verso casa mia, entro dalla finestra della mia camera e prendo tutti i miei risparmi, un bel gruzzoletto di banconote non indifferente. Entrando ho visto che la macchina della mamma non c'è, sarà così traumatizzata che probabilmente è andata a lavorare per distrarsi, sicuramente con scarsi risultati. Dopo una cosa del genere non si può dimenticare tanto facilmente e conoscendola, non sarà neanche andata alla polizia. Io non ho potuto chiamare aiuto e non so più se Shurui l'ha fatto veramente. Con ancora l'amaro in bocca al ricordo di cosa ha detto William, prendo altri miei vestiti, scarpe e tutto ciò che è mio, voglio che la mamma sappia che si è liberata di un peso, magari si sentirà più in pace con sé stessa. Dopo tutto, le voglio ancora bene, nonostante le sue accuse avvelenate, le voglio bene. Prendo un piccolo specchio che avevo in un borsellino, delle lenzuola nuove, detersivi e esco per l'ultima volta da casa mia. Salgo sopra la testa il cappuccio della mia felpa nera e mi dirigo a passo svelto in un supermercato poco frequentato. Quanta più poca gente mi vede, meglio è. Prendo pane, carne, pasta, verdure, un'intera cassetta di bottiglie d'acqua, carta igenica, asciugamani, tutto scontato per risparmiare. Esco dall'edificio per ritornare al più presto nella mia casetta accogliente, quando urto qualcosa o qualcuno di alto. Anche se effettivamente tutti sono più alti di me. Alzo di poco lo sguardo mormorando un "scusa", ma quando incontro due ghiaccioli che mi fissano sorpresi e divertiti sbianco dalla paura. Tra tutte le persone di questo mondo, proprio William doveva capitare. Ingoio la saliva per inumidire la gola che si era seccata alla sua vista e indietreggio.

William:- Oh, la piccola fuggitiva! - dice con tono di scherno.

Ingoio a vuoto un'altra volta guardando altrove. Il suo sguardo è insostenibile.

Io:- Sono fuggita perché non volevo farmi stuprare... - sussurro io.

Lui scoppia in una risata sarcastica e mi sento umiliata nel profondo.

William:- Oh andiamo, ora puoi dirla la verità, no? - dice alzando un sopracciglio.

Io aggrotto la fronte, non capendo. La verità gliel'ho già detta. Lui smette di sorridere e con un'espressione dura mi prende per un braccio, trascinandomi lontano da occhi e orecchie indiscrete.

William:- Anita, non mentirmi. - dice lui con voce bassa e minacciosa.

Io non riesco a guardarlo negli occhi. Proprio non ce la faccio. Non pensate che non abbia carattere, ma se vi trovaste William di fronte che vi fissa, credetemi che avreste fatto lo stesso. Tutto di lui grida forza, potenza, pericolo e male. Lui è il male. Mi prende il viso con prepotenza e mi costringe a guardarlo negli occhi. E mi sento morire.

William:- Dimmi la verità. E guardami negli occhi. -

Sospiro, chiudo gli occhi per un secondo e poi li riapro.

Io:- Ho visto un uomo sopra mia madre che abusava di lei mentre le tappava la bocca. Lei cercava di liberarsi ma non ci è riuscita. L'uomo mi ha vista e sono corsa via. Sono arrivata ad una casa che poi ho scoperto essere la tua. Quell'uomo mi stava raggiungendo e avevo paura. Shurui mi ha fatto entrare in tempo. Avrei fatto la stessa fine di mia madre, se non peggio. - dico io tutto d'un fiato, senza lasciar trapelare dalla mia voce tutte quelle emozioni che mi turbinano dentro. William continua a guardarmi negli occhi per un tempo indefinito, forse volendo capire se dico la verità. Io distolgo lo sguardo.

William:- Ti ho detto di guardarmi negli occhi. - scandisce lui.

E poi scoppio.

Io:- NON CI RIESCO, OK? NON CI RIESCO! NON RIESCO A GUARDARTI NEGLI OCCHI. PERCHÉ HO PAURA. HO TROPPA PAURA. HO PAURA CHE TU MI FACCIA ANCORA DEL MALE. HO PAURA DI TROVARE QUALCOSA NEI TUOI OCCHI CHE MI FACCIA CAMBIARE IDEA SU DI TE! HO PAURA. NON TUTTI SONO COME TE CHE SEI GHIACCIO FUORI E FUOCO DENTRO. IO NON RIESCO A CAPIRTI, È QUESTO CHE MI FA PAURA, OK? HO PAURA DI TE PERCHÉ NON TI CONOSCO, NON SO CHI SEI DENTRO. NON SO COSA HAI DENTRO. HO PAURA! - urlo con tutto il fiato che ho e con tutta la rabbia accumulata.

Intanto mi ero allontanata, e William mi fissava in una maniera indecifrabile. Io corro verso il bosco, sollevata dal fatto che non mi stia seguendo. Arrivo alla casetta prima di quanto ce ne avessi messo la prima volta e mi chiudo la porta alle spalle. Mi accascio a terra e riprendo fiato. Cosa ho fatto?

Paura di vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora