La prima volta che Hana vide Aiden fu alla mensa della scuola: c’era il solito caos e una fila lunghissima di ragazzi con il vassoio in mano in attesa di riempirlo al buffet. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che la fila aveva smesso di avanzare da almeno qualche minuto. Intorno a lei i ragazzi si sporgevano o si alzavano in punta di piedi per capire cosa stesse rallentando la processione, così Hana fece lo stesso e lo vide: fermo davanti al buffet c’era Aiden. Se ne stava immobile con il vassoio tra le mani. Era alto, molto magro, con un curioso cappellino di lana sulla testa color prugna e una margherita all’uncinetto cucita sull’orlo. Quell’oggetto faceva a pugni con il suo aspetto, piuttosto lugubre e distaccato. Non era un suo compagno di classe e non ricordava di averlo visto a nessuno dei club scolastici, in effetti non ricordava di averlo mai visto a scuola. Guardava le pietanze del buffet come se fossero insignificanti o come se tutto d’un tratto si fosse dimenticato perché fosse lì. Non ci volle molto prima che gli altri alunni iniziassero a spazientirsi. Si alzarono bisbiglii e proteste; ma nessuno sembrava avere il coraggio di avvicinarsi ad Aiden, ancora lì, immobile. Due ragazze di fronte a Hana confabulavano spazientite.
«È quel tipo, Aiden», dicevano. «Quello che a malapena frequenta le lezioni. Ho sentito un sacco di voci terribili su di lui».
«Cosa è venuto a fare? Hai visto quel cappello? Che schifo…lo avrà preso dai rifiuti. Fa impressione».
«Claire ha detto che lo ha visto una sera in un locale, fumava all’uscita con degli uomini. E poi c’è la storia su quella rissa-».
In quel momento si udì un forte fracasso che fece sobbalzare tutti: Aiden aveva lasciato cadere a terra il vassoio ancora vuoto e si stava allontanando con le mani in tasca e sbadigliando rumorosamente.
Passarono tre mesi da quel giorno, in cui Hana non vide Aiden mai nemmeno una volta. Tanto che si sarebbe dimenticata di lui se non fosse stato per il loro secondo incontro. Questo fu molto più inaspettato, spaventoso e…bagnato.«Ancora in ritardo, Hannah?».
Il signor Singh, il professore di educazione fisica, le lanciò un’occhiata fugace e continuò il suo cammino senza aspettarsi una risposta. Hana gli sorrise debolmente e annuì tra sé. Aveva appena finito di sistemare le attrezzature per il club di pallavolo, di catalogare e ordinare i documenti della sala dell’assemblea studentesca e di fare altre piccole cose che nessuno le aveva chiesto ma che lei faceva lo stesso.
Non le dispiaceva restare fino a tardi né stare da sola. Si teneva sempre occupata, sperando che il tempo passasse più in fretta. Si era iscritta ad ogni club disponibile, anche a quelli che avevano esaurito le candidature. Si proponeva come archivista, tuttofare o anche portaborse. Non le importava, bastava che si tenesse il più impegnata possibile, praticamente era lei a chiudere la scuola. Colin, il vecchio custode, la conosceva meglio di tanti suoi professori e gli dava fiducia permettendole di muoversi praticamente ovunque. Quando vide che aveva iniziato a piovere, fu contenta. Guardò le gocce scivolare sulle finestre e il cortile trasformarsi in una pozza di fango; pensò con soddisfazione: «Ho dimenticato l’ombrello, quindi è giusto che io aspetti che smetta di piovere». E annuì convinta: «Sì, è giusto».
La pioggia si trasformò in un temporale e il cielo si fece buio come la notte. Le luci della strada si confondevano tra il vento e l’acqua, creando giochi di luce e ombre. Hana doveva solo portare degli scatoloni con il materiale del club di teatro in uno stanzino del tetto. Salì le scale lentamente, ascoltando il rumore dei tuoni, facendo attenzione a non inciampare sui gradini. Si rese conto che più saliva e più faceva freddo; una brezza fresca e umida le accarezzò il viso. Si fermò, trovandolo strano. Tese l'orecchio e avvertì un suono: qualcosa batteva ritmicamente, come colpi di martello su un muro. Piegò le labbra indecisa se tornare indietro. In quel momento, un tuono fortissimo squarciò l’aria; la corrente saltò varie volte e le luci sfrigolarono emettendo un suono sinistro . Hana non ebbe paura; lei non aveva mai paura, ma non voleva rischiare di farsi male, così decise che avrebbe lasciato le scatole sul pianerottolo e le avrebbe sistemate l'indomani. Il suono martellante si faceva più forte man mano che saliva e arrivata in cima restò scioccata dal disastro che si trovò di fronte: il vento aveva spinto e aperto la porta della terrazza facendola sbattere contro il muro. La pioggia entrava a spruzzi dallo spiazzale e bagnava il pavimento.
"Oh no!" pensò Hana dimenticandosi delle scatole e lasciandole cadere .
L’odore della pioggia era intenso e il vento gelido sferzava tutto ciò che incontrava. I fulmini illuminavano l’esterno come un flash e Hana dovette proteggersi gli occhi con le braccia per via della pioggia. Si avvicinò alla porta con le braccia tese per cercare di chiuderla, quando un’ombra in lontananza catturò la sua attenzione.
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Un kotatsu per l'inverno
Teen Fiction"Zweisamkeit". Una parola tedesca, quasi impossibile da tradurre, ma che, se vogliamo interpretare grossolanamente, possiamo rendere come "Da soli insieme". Era così il rapporto tra Hana e Aiden. Le loro vite erano solitarie, difficili, disgrazi...