Capitolo Cinque - Promemoria per Cloe: non ubriacarti mai più

211 21 2
                                    

Il mio cervello esce dalla fase del sonno, e capisco che è giorno perché percepisco il sole che filtra da qualche parte, una finestra, un balcone, non so. Le cose che so per certo questa mattina, nonostante io debba ancora aprire gli occhi, sono tre:

1.     Il malditesta da post-sbornia mi devasterà l’intera giornata.

2.     Non mi ubriacherò mai più in questo modo, piuttosto mi taglio un arto.

Ma soprattutto, 3. Non sono nel mio letto.

Il cuscino sul quale sto sbavando è troppo comodo per essere il mio, le lenzuola che mi avvolgono sono troppo morbide. Ok che sono indipendente adesso, ma so accontentarmi di cose modeste, anche perché, se non finisco il mio secondo libro – e se non va bene con il primo – la mia indipendenza economica finirà prima ancora di iniziare.

Per un attimo do per scontato di essere nel letto di Elias, lui ha lenzuola e cuscini che per comprarli io mi dovrei vendere un rene. Ma percepisco l’odore che impregna la stanza e non è il profumo fresco del mio migliore amico, è una fragranza più decisa, e sicuramente più costosa e pregiata.

«Oh cazzo!» esclamo alzandomi a sedere si scatto, i capelli davanti al viso, gli occhi spalancati che bruciano e cercano di mettere a fuoco il luogo in cui mi trovo. Tutto troppo in perfetto ordine per essere la stanza di Elias, l’arredamento minimal e scommetto che dentro l’armadio in legno scuro davanti a me ci sono anche le magliette e le camicie sistemate per colore. Alla mia destra c’è un comodino e accanto uno specchio verticale che punta proprio sul letto. Dietro ci sono delle vetrate coperte da una tenda grigia. Questa camera può essere solo di una persona.

No, rifiuto di credere che io mi trovo nella stanza di…

«Buongiorno anche a te, piccoletta.» Come faccia ad avere sempre questa cazzo di voce roca naturale non lo so, una parte di me pensa che in realtà si sforzi di parlare così perché fa più uomo accattivante. «Tu proprio non ce la fai a non dire una frase senza parolacce, eh?» Il tono è molto infastidito, non che la cosa mi stranizzi, è l’unico tono di Giuliano.

Mi volto a sinistra, in direzione della sua voce, e me ne pento subito perché lo trovo a pochi metri dal letto, davanti alla porta del bagno che ha in camera, e indossa solo un’asciugamani bianco intono alla vita, che lascia completamente scoperti i suoi addominali scolpiti da anni di palestra e i tatuaggi che gli decorano addome e pettorali. Ha delle foglie sulle scapole, proprio sotto il collo, una scritta sul pettorale sinistro e un cuore trafitto da tre spade sul bacino, nel lato destro, la cui punta è nascosta dalla tovaglia. Poi non parliamo delle braccia e delle mani, quelle sono proprio una tela di tattoo. I capelli neri sono ancora un po’ umidi e arricciati dalla doccia che ha appena finito di fare e l’odore del bagnoschiuma maschile mi invade le narici e si unisce al suo profumo stordendomi ancora di più.

Lo guardo negli occhi e mi pento un’altra volta, c’è un luccichio provocatorio in quelle iridi di un verde così scuro da sembrare quasi nero.

«Hai finito la radiografia, piccolé?» solitamente non si lascia mai andare al dialetto romano, neanche nella pronuncia, visto che parla sempre un italiano impeccabile, ma questa volta si fa sfuggire un accento romanesco, soprattutto nel mio nomignolo, che ha un effetto spiacevole al mio basso ventre: sono evidentemente ancora ubriaca.

Non lascio il suo sguardo indagatore perché non voglio dargliela vinta. «Cosa cazzo ci faccio nel tuo letto, Giuliano?»

Lui respira profondamente, infastidito dal mio linguaggio scurrile e vorrei tanto dirgli che ogni tanto potrebbe togliersi quel palo che si ritrova nel culo, ma mi mordo il labbro inferiore e mi trattengo perché la situazione è abbastanza complicata così.

Come In Un Romance Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora