prologo.

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Vivianne

Lincoln Park - Chicago
17 aprile 1994

«Ma sono pur sempre tua figlia!» sbraitò la mora, contro la madre. «Non... non puoi cacciarmi di casa...» singhiozzò la ragazza, ormai in preda alle lacrime.

Erano passate a malapena due settimane da quando aveva scoperto di essere incinta, lasso di tempo in cui aveva cercato -in tutti i modi- di riuscire a trovare il coraggio di confessare tutto alla madre. Ci aveva provato, molte volte, ma senza mai riuscirci fino a quel giorno, quando Eleanor trovò nascosto nel cassetto inferiore della sua scrivania il test di gravidanza.

Questo la faceva sentire in colpa, triste, distrutta. Vivianne era a pezzi sin dal momento in cui quel -maledetto, secondo lei- test di gravidanza le aveva dato come esito "positivo".

Era a pezzi non per il bambino che, ormai, portava in grembo -e che per altro aveva anche deciso di tenere-, ma perché quello che considerava il suo più grande amore l'aveva abbandonata. L'aveva fatto quando le aveva promesso che una cosa simile non sarebbe mai avvenuta.

Vivianne era a pezzi perché si sentiva sola.

Era sola.

Perchè sapeva sin dal primo momento che la sua famiglia non l'avrebbe mai sostenuta in una cosa simile. Sua madre per prima non l'avrebbe fatto. Non con il cognome che portavano e la reputazione erano riusciti a crearsi con il passare degli anni.

Sapeva quanto crudele e spietata potesse essere sua madre, fino a quali livelli potesse spingersi. Soprattutto dopo la morte del padre, avvenuta giusto un paio d'anni prima a causa di una malattia cardiaca. Dopo quell'avvenimento... Eleanor era cambiata. Tanto.

Il dolore le aveva logorato l'anima e lo aveva fatto in una maniera così brutale da trasformarsi in una rabbia repressa che scagliava contro ogni persona ogni qualvolta che ne aveva l'occasione, anche contro qualcuno che osava solo rivolgerle un umile saluto.

Era diventata una persona completamente diversa da quella dolce Eleanor, sensibile e premurosa che tutti conoscevano un tempo.

Era diventata Satana in persona e non c'era modo e maniera di riuscire a cambiare le cose. E per quanto Vivianne stessa fosse a conoscenza di cosa fosse in grado di fare... non immaginava che avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Non aveva mai creduto che sarebbe stata in grado di cacciare fuori dalla sua dimora la sua stessa figlia. La piccola di casa. Sangue del suo stesso sangue. L'ultima a portare il cognome del suo -ormai defunto- amato marito, oltre alla sorella.

Non credeva che fosse in grado di spingersi così oltre per un semplice incidente.

Ma l'aveva fatto. E con una tale facilità da farle credere che, in fondo, non l'amasse, poi così tanto. Ed il fatto che tenesse molto di più alle apparenze che alla sua stessa figlia... forse ne era anche la prova. Proprio per questo motivo il cuore della ragazza si frantumò in tanti pezzi, in mille schegge che le trafiggevano il petto aprendo una ferita sempre più grande.

«Hai disonorato il nome della nostra famiglia.» le rispose, con una voce gelida. Si avvicinò alla finestra, portando le mani dietro la schiena e dandole le spalle. «Il cognome di tuo padre...» continuò, poi, con un filo di voce che le tremò nel petto.

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