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Isidoro era sempre stato un timido bocciolo, uno di quei fiori che si aprono e si chiudono a seconda del momento della giornata.

Con l'arrivo della sera, quando tornava a casa, lasciava che i suoi petali si schiudessero sprigionando una dolce esalazione, mentre per il resto del giorno se ne stava rintanato nel cantuccio del suo negozio, cercando di nascondersi tra le piante.

Fare il fioraio era per lui l'unico mestiere tollerabile, anzi a dirla tutta gli piaceva proprio quel lavoro: non doveva stare seduto per ore davanti a un computer, né doveva compiere attività faticose o pericolose, certo qualche volta doveva sorbirsi qualche cliente chiacchierone o maleducato, ma vuoi mettere la tranquillità di passare la giornata circondato dalla bellezza dei fiori con quella di dover lavorare in una fabbrica o in un ufficio?

E poi se esisteva una cosa per cui era disposto a fare di tutto, compreso avere una conversazione con uno sconosciuto, erano proprio i fiori.

Fin da bambino Isidoro era stato un tipo taciturno, all'inizio la sua famiglia non diede peso alla cosa, dopotutto il figlio si mostrava attivo: con le sue piccole mani lasciava impronte per tutta la casa: sui mobili, sui muri, sul pavimento, una volta sua mamma lo beccò persino con le mani dentro a un vaso mentre assaggiava un amarillo.

Ammetto che l'aspetto sgargiante dei petali rossi era invitante, il sapore forse un po' meno: dopo averlo ingurgitato, scosse la testa in un no e cacciò fuori la lingua facendo una smorfia.

Quando non era in giro a impiastricciare il copridivano e le sedie con le mani sporche di cibo, era seduto su una copertina azzurra a giocare con delle formine.

Seppure non fosse neppure un nanerottolo, assumeva un'espressione molto concentrata e, se non fosse stato per il ciucciotto tra le labbra e i movimenti ancora non del tutto coordinati, lo avresti potuto scambiare per un bambino di almeno tre anni.

Isidoro era stato un bambino molto curioso e creativo, una mattina osservò la mamma mentre realizzava un dipinto e decise di volerla imitare, afferrò un pennello caduto a terra e lo agitò per aria, non ne uscì nulla di particolare, se non qualche macchia di colore lanciata per caso chissà dove, eppure sembrava felicissimo, così felice che fece una cosa proprio strana: corse verso il vaso di amarilli e col pennello tentò di acciuffare il colore rosso dei petali.

Quando la mamma lo scorse nel compiere quel gesto infantile lo prese in braccio e, accompagnandolo nei movimenti, gli fece disegnare un fiore rosso sulla tela. Entrambi risero tantissimo.

A due anni e mezzo, quando la mamma gli servì per la prima volta un budino, anziché mangiarlo ci affondò le mani per tratteggiare dei disegni rupestri sopra la tovaglia.

Erano dei disegni proprio buffi: papà Khaleel giurò di vederci l'Africa, in alcuni punti riusciva persino a individuare i deserti della sua terra, gli specchi d'acqua delle oasi e una fila di piccoli esseri dal collo allungato; mamma Sofia, invece, sostenne di vederci il vento soffiare su un fiore e, quelli che per il marito erano cammelli, per lei erano petali.

«Sono troppo grandi per essere petali» asserì il padre convinto.

«Ma dai caro, come può un bambino avere il senso della prospettiva? Tutti i bambini disegnano cose incredibilmente grandi oppure microscopiche, pensi che a loro importi qualcosa delle regole logiche degli adulti?»

Cosa stesse realmente pasticciando Isidoro forse non lo sapremo mai, quello che di sicuro sappiamo è che Isidoro fin dalla tenera età si mostrò un amante dell'arte e della bellezza, per questo motivo aveva deciso di fare il fioraio.

Ogni volta che chiudeva gli occhi e annusava un fiore, una piacevole sensazione di libertà gli pervadeva il corpo, era quasi come volare: immaginava il vento soffiargli sul viso e trasportarlo chissà dove, in qualche angolo recondito del mondo, magari in Libia, nel piccolo villaggio dove era nato suo padre, prima o poi ci sarebbe andato, lo aveva promesso, alla sua famiglia e a se stesso: voleva conoscere le sue radici, toccarle con mano e camminarci sopra con i piedi, perché un uomo senza radici è un uomo a metà.

Purtroppo i perpetui conflitti politici gli avevano impedito di realizzare il suo sogno.

Tra la voglia di conoscere la nazione del padre e la paura di restarvi bloccato aveva vinto la seconda.

Del resto la sua vita era già abbastanza complicata così: da sempre aveva dovuto fare i conti con i bulli, i pregiudizi, i luoghi comuni.

Aveva atteso l'età adulta con trepidazione e aveva a lungo sperato che qualcosa sarebbe cambiato, invece, allo scoccare del diciottesimo compleanno, proprio nulla era accaduto.

La società continuava a trattarlo come uno sciocco, un handicappato. E se quando sei un bambino o un adolescente dentro la tua testa pensi "Va bene, sono soltanto dei ragazzini, quando cresceranno capiranno", quando hai trent'anni e tutti continuano ancora a trattarti esattamente come venti anni prima, allora ti cascano le braccia e ti chiedi "Perché, perché proprio a me? Perché se a me non importa nulla di essere sordo, perché devi farmelo pesare tu? Perché non puoi trattarmi come faresti con chiunque altro, perché devi parlare talmente piano da sembrare una maledettissima mucca, mettendomi in una difficoltà assurda, nel tentativo di interpretare quella tua bocca ruminante?".

E se gli empatici diventano dei mimi, la gente maligna ha sempre qualche parola di veleno sulla lingua, diventi un pettegolezzo, una brutta notizia su cui gli abitanti del tuo paese devono discutere.

E non importa quanto sei bravo nel tuo lavoro, quanto impegno ci metti, quanto gentile sei, per le persone sarai sempre Isidoro, quello sordo.

La poesia dei fioriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora