Thirteenth act (part one).

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Una cosa che Angel non aveva perso e probabilmente non avrebbe mai del tutto perso, era quel senso di essere in errore continuo che gli attanagliava l'anima ogni volta che qualcosa non andava come si era immaginato nella sua mente terribilmente arrovellata.

Husk: Grazie, Angel.

Era l'unico messaggio di risposta che aveva ottenuto da Husk da quando il signore supremo se ne era andato al suo altro casinó, dopo la loro meravigliosa, ed a quanto pare facilmente trascurabile, notte insieme.

Ed Angel non aveva avuto il coraggio di scrivere nient'altro.

Erano passati cinque giorni.

Giorni nella quale Angel aveva cominciato a lavorare nel casinó, nei piani alti, le zone 'vip', spellando qualsiasi mal capitato fosse abbastanza audace da pensare davvero che Angel Dust avrebbe concesso loro qualcosa.

Non lo faceva nemmeno quando era sotto contratto con Val, a meno che non avessero una fortuna da poter spendere (perché tutto si poteva dire di Val, ma per i demoni, Angel era prezioso, una macchina da soldi e veniva venduto a peso d'oro) figurarsi se lo avrebbe fatto ora.

Sopratutto in quel momento, dove provocava e stuzzicava tutti quei demoni famelici con una soddisfazione viscerale ed una rabbia cieca.

Sia per il suo passato, che in qualche modo stava vendicando su di loro, sia per il senso continuo di profondo sconforto che provava al non ritorno di Husk ed a tutto ciò che era rimasto lì, in sospeso, senza risposta.

E poi, quando alla fine del turno tornava nella sua stanza, iniziava quel senso di inadeguatezza.

Cosa ho sbagliato?

Era la domanda più ricorrente.
E più i giorni passavano, più quella domanda diventava concreta, fino ad atterrare nel suo stomaco come un mattone.

Celia e Lyon se ne erano accorti, quanto meno che qualcosa non andasse, perché era nervoso per la maggior parte del tempo e spento, nonostante cercasse di nasconderlo e ci riuscisse piuttosto bene.

Era pur sempre un ex attore, porno, ok, ma pur sempre un attore.
E sapeva recitare bene il copione della vita.

Già.

Fino a che, dopo una settimana, durante un turno dove aveva fatto perdere letteralmente tutto ad un nuovo piccolo overlord, non si era seduto ad uno dei bar della sala principale a prendere un drink ed aveva sentito una strana diminuzione del chiacchiericcio e delle risate sguainate sempre presenti nel casinó.

Qualche saluto cordiale, intriso di timore.

E poi..

"Mi hanno detto che te la stai cavando bene, anche senza di me."

Quasi il piccolo sorso che aveva appena ingurgitato gli si bloccó in gola.
Si voltó con cautela, quasi impaurito che la voce che aveva sentito potesse essere una stupida allucinazione uditiva.

Ma non lo era.

Husk era lì, di fronte a lui, in tutta la sua maestosa bellezza.

Ed Angel sentì seccarsi la gola ed il cuore cominciare la sua corsa, come un cavallo impazzito.

"Beh, qualcuno deve pur far guadagnare questo posto quando non ci sei."
Un occhiolino, ed il suo immancabile sorriso falso come pochi.

Recitare il copione.
Ora più che mai doveva esserne in grado.

"Hai ragione."
Husk si avvicinò a lui, allungando lo sgabello affianco ad Angel e sedendosi, con una tranquillità che quasi fece tremare le gambe al demone rosa.

The overlord of gambling. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora