SEVEN
Il viaggio - di appena quattro minuti contati - riesce a essere comunque la cosa più surreale che mi sia capitata negli ultimi due anni.
Io che abbasso il finestrino, lui che lo tira su perché "anche se siamo ad aprile, fa comunque ancora freddo", io che abbasso lo stereo e lui che alza il volume per farsi sentire fino alla Contea limitrofa, io che gli chiedo di non distrarsi alla guida e lui che fa di tutto meno che restare concentrato sulla dannata guida.
Sto per avere un esaurimento nervoso, e sono arrivata a Red Shades da appena due ore. E non ho ancora incontrato nessuno fra quelli che avrebbero potuto rendere il mio soggiorno un inferno!
L'emporio di Mo è tale a quale all'ultima volta in cui sono stata qui, ha ancora le decorazioni natalizie incollate alle vetrine e la pubblicità del fertilizzante, che recita "Solo per questo mese, uno sconto ulteriore sulla fornitura" è sempre lì esposta, nonostante ne siano passati più di 20, di mesi.
Lancio un'occhiata in giro prima di scendere dal pick-up; sembra che la fortuna abbia deciso finalmente di assistermi: non c'è in giro quasi nessuno.
Ho appena messo a terra il primo piede, quando la figlia di Mo, Grace, esce dalla porta del negozio, raggiante come l'ho vista forse soltanto al ballo di fine anno, in terza media. E sta guardando me. Non mi ha considerata per due decenni e ora mi accoglie come se fossi la cosa più bella del pian...
Ah, no, la fonte della sua gioia estrema non sono io ma il mio compagno di viaggio. Infatti, il sorriso cristallizzato di Grace si spegne non appena mi mette a fuoco.
Lo vedo persino da qui, il petto che le si gonfia per la stizza, la mascella le si serra un attimo dopo.
«Fammi indovinare», dice Quentin, chiudendo la portiera - devo ammettere, in un modo delicato che non mi sarei mai aspettata - e voltandosi a guardarmi con le braccia incrociate sul finestrino abbassato, «non è una tua grande fan».
Non lo guardo nemmeno, quando rispondo lapidaria: «Non sapeva nemmeno che io esistessi, fino a cinque secondi fa. Credo sia solo stizzita perché non può venire qui a strusciartisi addosso».
Lui solleva entrambe le mani, i palmi rivolti verso di me. «Io non glielo impedirei di certo».
Faccio roteare gli occhi e mi rimetto comoda sul sedile del passeggero. «Ti aspetto qui».
«Sicura? Non hai paura che spenda tutti i soldi di tuo padre in rastrelli, pluviometri e tralicci per rampicanti?».
«Non più dell'idea che una falciatrice ti cada disgraziatamente su un piede».
«E allora perché eri così preoccupata quando mi ha dato la sua carta di credito?».
Aggrotto la fronte e lo guardo come se fosse caduto dal seggiolone a ripetizione, durante la sua infanzia. «Ma di che diavolo stai parlando?».
«Di te che ti fai venire la gastrite non appena la carta di credito di tuo padre mi finisce fra le mani».
Mi servono alcuni secondi prima di capire che ha detto davvero quello che pensavo di aver sentito la prima volta, ma non ho nemmeno intenzione di provare a spiegargli perché si sbaglia di grosso. Appoggio un gomito al finestrino e mi giro dall'altra parte. Non merita una risposta.
Deve aver afferrato il concetto, perché poco dopo sento la sicura del pick-up scattare e i passi dei suoi stivali logori che si allontanano.
Mi ha davvero chiusa in auto come se fossi una bambina? Io lo strangolo!
Sto per scendere dal pick-up e dirgliene quattro, quando l'ultima persona che vorrei incontrare dell'intero universo svolta l'angolo e si dirige verso l'emporio.
Mi abbasso alla velocità della luce, prendendo una botta epocale contro il cruscotto. Sento la fronte pulsare e le lacrime corrermi agli occhi, e ringrazio di aver appena provato questo tipo di dolore, perché l'altro è qualcosa di molto peggio. Resto accucciata dentro l'abitacolo senza muovermi di un millimetro, non provo neanche a respirare un po' più forte, voglio essere invisibile.
Il rumore della serratura che scatta mi fa finalmente tornare a incamerare aria. Cercando di restare sdraiata il più possibile, mi rimetto dritta e mi appiattisco contro il sedile.
«Ti ho portato lo scontrino, così stanotte potrai dormire sonni tranquilli. E ho scelto il nastro adesivo più economico. Che non si dica in giro che Quentin Wood non è...».
«VUOI METTERE IN MODO QUESTA C**** DI AUTO?!».
Dallo scatto della sua gamba, posata sull'acceleratore, deduco di averlo spaventato, o quantomeno colpito. Io però lo colpirei volentieri in un altro modo.
«Cristo! Sicura di essere la figlia di Ron? Hai preso da tua madre, vero?».
Se c'era una frase, anche solo una, che avrebbe potuto dire per non farmi pensare alla situazione in cui mi trovo, lui l'ha azzeccata. Entro in modalità statua di sale e resto immobile e zitta fino a quando non arriviamo di fronte a casa.
La casa in cui i passi leggeri di mamma non risuonano più, quella in cui non posso più rubarle l'impasto della torta alle mele per la fiera autunnale, la casa dove non potrò appendere nuove fotografie di me e lei che sorridiamo e ci abbracciamo strette.
Quando mangio gli scalini del portico ed entro in casa, per correre in bagno, Quentin ha la decenza di non schernirmi né di commentare ad alta voce quello che sto facendo. Lo sento solo scambiare due parole con papà e un secondo dopo il rumore del nastro adesivo che viene srotolato copre ogni altro suono.
Mi appoggio con la schiena alla porta, le mani che si chiudono e si aprono per cercare di ritrovare la calma. So che non ha detto niente di male e che in realtà ha ragione, sono molto più simile alla mamma, ma non ero nello stato emotivo per quel tipo di affermazione, e non ho ancora imparato a gestire il mio dolore, per potermi permettere di ascoltare certe frasi senza sgretolarmi.
E non è servito trasferirmi a mille e seicento miglia di distanza. È bastato rimettere piede a Red Shades per rendermi conto che sono ancora la stessa persona, solo molto più sola.
***
Quando riemergo dal bagno, papà non mi chiede niente e sembra sempre e solo felice di avermi qui. Io gli sorrido come posso e poi seguo il rumore del nastro adesivo, fino allo studio.
Ci sono ancora diverse librerie da svuotare, per cui, mio malgrado, mi affianco a Quentin, tenendo il più possibile la distanza, per riempire gli scatoloni che lui ha già assemblato. Sto per estrarre dallo scaffale la prima serie di romanzi, quando mi ritrovo il polso avvolto da una mano piena di inchiostro. La presa è delicata ma ferma al tempo stesso, come se volesse solo fermarmi senza esercitare la forza su di me.
Sollevo lo sguardo per incontrarne uno diverso da quello del ragazzo che si prendeva gioco di me fino a pochi minuti fa.
«Parti dal fondo, così sarà più semplice rimetterli esattamente come sono catalogati adesso».
Annuisco piano, stupita da quell'accortezza che mai si sarei aspettata da un estraneo, pronta per seguire le direttive di Quentin, ma la sua mano resta attorno al mio polso e non sembra intenzionata a schiodarsi presto da dove si trova.
«So che tua madre non c'è più e che era una brava persona, Ron parla tantissimo di voi. Non volevo dire niente di negativo su di lei. O su di te. Okay?».
«Sì».
È l'unica cosa che riesco a dire. E all'improvviso non mi dà più così fastidio che papà abbia avuto qualcuno vicino, qualcuno con cui parlare e con cui sfogarsi. Non provo più gelosia nei confronti di Quentin. Vorrei dirglielo, spiegargli perché ho avuto quella reazione prima, quando papà gli ha dato le chiavi del pick-up o quando gli ha passato con confidenza la sua carta di credito, ma per qualche ragione non riesco a trovare le parole iniziali.
E così me ne resto in silenzio a riflettere su questa nuova sensazione, accompagnata dall'odore dei vecchi libri e di tutti i ricordi che si portano dietro.

STAI LEGGENDO
Back Down South
RomantikRed Shades era l'ultimo posto in cui sarebbe voluta tornare, ma per Seven Ross non c'erano molte alternative: passare le Vacanze di Primavera nel paesino dal quale era scappata due anni prima o lasciare il padre a occuparsi da solo del trasloco. Non...