CAPITOLO 5

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SEVEN

Fra tutti i posti al mondo, questo è veramente l'ultimo in cui avrei voluto trovarmi. E non è un modo di dire, è davvero il posto peggiore in cui trovarsi, per me, di venerdì sera. Non solo a Red Shades ma in tutto l'universo.

Però papà era entusiasta di cenare con me con la specialità di Martin, dopo due anni di assenza, e rifiutare avrebbe voluto dire dare spiegazioni, e dare spiegazioni avrebbe voluto dire confessare a mio padre che tutti i miei "sto alla grande", "ho smesso di pensarci già dal giorno dopo", "a Boston ho una vita sociale così intensa che a volte mi dimentico persino di mangiare" erano in realtà delle grandi menzogne, che non ho fatto nemmeno un piccolo passo avanti da quando sono scappata all'Università di Boston due anni fa.

Così, eccomi qui a stringermi nelle spalle, nella mia felpa anonima, in attesa che Martin mi consegni la mia cena da asporto, sperando che nessuno mi noti e che io riesca a uscire da questo dannato posto prima che qualcuno si avvicini per fare domande.

Devo ritenermi più che fortunata che sia stato Martin in persona a servirmi, dato che lui odia il mondo e non emette più di una sillaba a ora. Se avesse preso l'ordinazione Marcia, adesso mi ritroverei a rispondere a ventitremila domande. Lei, però, è troppo presa a mettersi in mostra per qualcuno dall'altra parte della sala... qualcuno che, a differenza mia, è molto difficile da non notare.

Non parlo solo dei tatuaggi su mani e braccia. Tutto di Quentin urla "guardatemi!", dall'espressione intensa ai vestiti che hanno visto tempi migliori, dalle scarpe fuori moda al modo di in cui si muove e riempie lo spazio. Come se si trovasse lì ma non fosse affatto interessato a nulla di quello che gli succede attorno. Per questo non sono affatto stupita di vederlo in compagnia di Cal.

A causa della sua omosessualità, nessun ragazzo vuole frequentare pubblicamente Calvin Janes - troppo scandaloso per una cittadina come Red Shades, troppe insinuazioni da dover evitare. E le donne non sono interessate ad essergli amiche, perché qui è tutta una gara a chi riesce a farsi mettere l'anello al dito per prima, per poter scappare dal paese e vivere una vita fuori dai radar giudicanti dei suoi abitanti.

Il dolore al petto torna a farsi sentire: c'è stato un tempo in cui anche io ho sognato le stesse cose, anche se...

Cal solleva la testa dalla sua birra e incrocia i miei occhi. 

Merda!

A differenza di tutti gli altri, a me non interessa della sua inclinazione e tanto meno mi importa di essere giudicata per essere stata vista parlare con lui. Quello che temo sono sempre e solo le domande, e sono sicura che lui ne avrebbe: è sempre stato uno dei pochi ragazzi gentili al liceo.

Mi nascondo come meglio posso dietro la cassa poggiata sul bancone e inizio a pregare che non venga qui, ma passano solo pochi secondi prima che lo sgabello accanto al punto in cui mi trovo venga occupato.

Prendo un gran respiro e mi incollo un sorriso di circostanza in faccia, pronta con la recita, ma non è di Cal il profumo che mi arriva da destra. E non è sua la mano piena di inchiostro, avvolta attorno alla bottiglia di Coors, che sto occhieggiando da sotto le ciglia.

Continuo a fingere di non aver visto Quentin e lui, per fortuna, è altrettanto bravo a ignorarmi. Non mi saluta, non si avvicina, chiede solo una porzione di patatine e poi rimane seduto immobile. Forse, dopotutto, anche a lui non fa piacere scambiare convenevoli, neanche dopo la parentesi di oggi. O forse vuole evitare di far innervosire Marcia, che continua a darsi da fare dietro il banco per attirare la sua attenzione.

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