«𝑺𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒕𝒓𝒐𝒑𝒑𝒐 𝒔𝒃𝒂𝒈𝒍𝒊𝒂𝒕𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒔𝒖𝒐𝒏𝒂𝒓𝒆 𝒊𝒏𝒔𝒊𝒆𝒎𝒆...»
«𝑶 𝒇𝒐𝒓𝒔𝒆 𝒔𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒍𝒂 𝒅𝒊𝒔𝒔𝒐𝒏𝒂𝒏𝒛𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒍 𝒎𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒏𝒐𝒏 è 𝒑𝒓𝒐𝒏𝒕𝒐 𝒂𝒅 𝒂𝒔𝒄𝒐𝒍𝒕𝒂𝒓𝒆.»
Questa è la storia di Livia Stone, una ra...
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"Imagine there's no heaven, It's easy if you try, No hell below us, Above us, only sky." (From the song Imagine by John Lennon)
La scuola era un mondo a sé, un microcosmo fatto di dinamiche sociali intricate e ruoli ben definiti. Ogni studente sembrava avere il proprio posto in questo sistema, un'etichetta invisibile ma chiaramente percepibile. C'era chi brillava sotto i riflettori della popolarità, chi preferiva restare nell'ombra, chi si perdeva nei libri e chi, come me, cercava di navigare tra tutto questo senza fare troppo rumore. In fondo, ogni giorno era una sorta di teatro, dove ognuno recitava il proprio ruolo, a volte con entusiasmo, altre con rassegnazione. E io? Spesso mi chiedevo dove appartenessi realmente, se ci fosse un posto in questo scenario che potessi chiamare mio.
Passarono le ore e finalmente le lezioni di scuola giunsero al termine. Erano state intense. Nonostante la stanchezza, avevo seguito ogni spiegazione con attenzione, cercando di catturare ogni dettaglio per non perdere il filo del discorso. Durante la ricreazione, il peso delle ore trascorse si fece sentire e mi lasciai andare a un breve sonno, cercando disperatamente di ricaricare le energie.
Le aule si svuotarono lentamente, lasciando un'atmosfera di quiete carica di tensione e di pensieri. I corridoi echeggiavano dei passi frettolosi degli studenti.
Durante le lezioni, Stefan e Simon continuarono a dare fastidio con scherzi piuttosto pesanti e distrazioni, interrompendo molte volte le spiegazioni e provocando risate tra i compagni di classe. Eleanor, d'altra parte, trascorse gran parte del tempo a parlare di ragazzi quasi ad alta voce, in particolare dei "tre w". Da come ne parlava, si capiva che le piacesse molto Alastor, mentre Emily l'ascoltava, anche se a volte si percepiva un leggero senso di noia dalla sua voce.
Mi alzai lentamente, stiracchiandomi per sciogliere la tensione accumulata, e mi diressi verso i corridoi. Era lì che avrei incontrato Laurel, come avevamo deciso di fare ogni giorno, per percorrere insieme il tratto fino al cancello della scuola.
Mentre camminavo, il suono dei miei passi si mescolava ai miei pensieri.
Quando finalmente vidi Laurel, il suo sorriso mi rassicurò. "Ei, Livia! Eccomi!" esclamò con entusiasmo.
Risposi timidamente e stanca, sentendo il rossore salirmi alle guance: "Ei..." cercai di sembrare più disinvolta, "Come è andata oggi?"
Laurel mi regalò un sorriso incoraggiante. "Sì, bene, grazie. E tu?"
Esitai un attimo, sentendo il peso della giornata: "Abbastanza..." aggiunsi con un tono incerto, "credo..."
Laurel mi guardò con comprensione, scuotendo leggermente la testa. "Non so come fai a sopportare quelle persone."
Non lo so nemmeno io.
Poi, improvvisamente, ricordandosi qualcosa, Laurel esclamò: "Ah, mi ero dimenticata! Devo farti vedere un po' la scuola."