Questione di essere pronti

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Capitolo sei

Poggiò la fronte contro la parete verde petrolio e chiuse gli occhi. Cercò di escludere quel mondo che sapeva solo fargli male rifugiandosi nella sua testa. Non era un comportamento sano, o almeno era quello che gli diceva la sua terapeuta.

Cercò di concentrarsi sul suo respiro lento e regolare, ignorando volutamente il chiacchiericcio generale proveniente dall'esterno, lo sfrecciare delle macchine, o la voce ovattata di Micheal che gli arrivava dalla cucina.

L'odore del caffè arrivava ad ondate fino alla sua postazione. Sapeva che Micheal tendesse a farne più del necessario quando fosse nervoso.

Si strinse nel suo maglione giallo canarino per non tremare dal freddo.

Qualcosa sbatté contro il suo piede scalzò: una macchinina rossa. Alzò lo sguardo verso l'altro bambino, aveva detto di chiamarsi Malcolm.

Nei suoi occhi vedeva ciò che a lui era stato strappato all'improvviso: l'innocenza.

Odiava Malcolm. Lo odiava perché mentre Carter e sua madre vivevano in un freddo appartamento di Londra senza potersi permettere nemmeno il riscaldamento, a lui venivano serviti pasti caldi, acqua calda, capi di abbigliamento senza fili penzolanti dalle estremità. Aveva ogni tipo di comfort.

Malcolm aveva anche un padre, Carter non più.

Carter non aveva più un padre per colpa della famiglia di Malcom.

Diede un calcio alla macchinina e tornò ad osservare la parete.

Fu in quel momento che Micheal tornò nella stanza, stanco e provato. Indossava ancora la stessa camicia della sera prima, spiegazzata e con qualche macchia a ricoprirla.

L'uomo ignorò suo figlio, Malcolm, e si inginocchiò di fronte a Carter con un sospiro pesante.

Sembrò voler dire qualcosa ma non lo fece.

Gli posò una mano sulla spalla e un suo sguardo valse più di mille parole.

Toccava a lui.

Avrebbe dovuto portare avanti quello che suo padre aveva lasciato in sospeso.

Era pronto.

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Carter non era pronto.

Non era pronto a rivederla.

Si chiese perché il destino sembrasse odiarlo così tanto. Tra tutti i lavori che avrebbe potuto affidargli Micheal ottenne proprio il caso di Camille Bellerose.

Camille che da quando lui aveva messo piede in quella stanza sembrava sul procinto di vomitare.

La realtà dei fatti gli venne sbattuta addosso come un pugno nello stomaco.

Fu la prima volta che vide quanto lui l'avesse distrutta.

Carter, d'altronde, non aveva mai pensato fino in fondo all'idea di averle fatto del male, aveva sempre cercato di evitarne il pensiero.

Non riuscì neanche ad incrociare il suo sguardo, come uno sporco codardo. Eppure tutti i suoi sensi gli urlavano di osservarne ogni dettaglio, di registrarne uno ad uno maniacalmente nel proprio cervello.

La vide stringersi nella felpa e con un tuffo al cuore si rese conto di dove avesse già visto quell'indumento.

Era la sua felpa.

Era la felpa di Carter.

Voleva vomitare.

Si sentiva un bastardo solo a restarsene lì in piedi nel suo salotto. Si sentiva indegno di anche solo sfiorarla con lo sguardo, come se non ne fosse più meritevole.

Era stato lui, Carter, a rovinare tutto, e adesso non poteva fare altro che osservare ciò che aveva fatto con le sue stesse mani.

L'aveva distrutta.

Aveva distrutto Camille.

Quando si alzò con la scusa di dover andare nella propria camera da letto per riposare la testa dolorante, Carter capì. Capì quella sua bugia velata, solo lui riusciva sempre a leggere dietro le sue menzogne. Glielo aveva rivelato Camille stessa.

La vide congedarsi e precipitarsi lungo le scale, ignorando volutamente i richiami della loro domestica, Domenique.

Domenique era l'unica in quella casa a sapere di loro due. Era lei che ogni sera lasciava la porta aperta sul retro per farlo entrare, era lei che gli lasciava sempre degli avanzi in più nel frigorifero. Era lei a fargli da madre.

Non solo aveva deluso Camille, aveva deluso anche la donna che l'aveva preso sotto la propria ala.

Non riuscì neanche ad incontrarne lo sguardo deluso.

Non poteva farlo.

«Confido che proteggerai la nostra progenie con tutte le tue forze, signor. Murphy...» il capofamiglia lo scrutò con attenzione, nascondendo quel sospetto dietro la maschera da brav'uomo che si ostinava a portare.

Ma il signor. Bellerose non sapeva che per sua figlia avrebbe scalato montagne e nuotato oceani.

Non sapeva che per sua figlia sarebbe stato disposto a buttarsi tra le fiamme, o in mezzo a morte certa.

Non sapeva che sarebbe stato disposto ad uccidere per lei.

Non lo sapeva neanche più Camille.

«La proteggerò con la mia stessa vita»

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