Tutori e genitori

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Capitolo quattro

L'odore di antisettico le pungeva le narici e il chiacchiericcio generale sembrava essere un continuo pugnalare alla sua testa. L'ospedale non era di certo uno dei suoi posti preferiti dove passare i pomeriggi dopo la scuola.

Riley le teneva con forza la mano e la guardava dolcemente, probabilmente per distrarla dalle urla dei suoi genitori. Da quando avevano messo piede in quella stanza non avevano fatto altro che urlarsi contro.

Il loro non era un matrimonio felice.

Decisamente no.

Era grata alla sua migliore amica, che nonostante l'avesse trascurata parecchio per i suoi problemi di cuore era sempre lì, a tenderle una mano nei momenti di bisogno e sconforto.

«Grazie» le mormorò con un filo di voce. Il dolore alla testa era talmente forte che faticava persino a parlare. Riley la sentì ugualmente e rafforzò la presa sulla sua mano, come se fosse un abbraccio.

«Sai che sono la tua ancora» le rispose prontamente sorridendole allegramente.

Riley non rispecchiava per niente il carattere freddo di Camille, erano "diverse da far schifo", o almeno era quello che veniva detto a scuola su loro due. Stranamente riuscivano a completarsi a vicenda, da sempre e per sempre. Se lo erano promesse anni prima, quando ancora erano due bambine sole contro il mondo.

«Ed io sono la tua» le sue labbra si tesero in quello che fu il suo primo vero sorriso dopo tempo.

Riley le faceva questo effetto.

Era la sua boccata d'aria fresca dopo giornate passate al chiuso.

Camille ormai era convinta di disprezzarsi.

Sentiva di essere ingiusta nei confronti del mondo.

Quel pomeriggio dopo il corso di recupero avrebbe dovuto vedersi con la sua migliore amica, ma era talmente presa dai suoi problemi che le era passato dalla mente.

Era stato proprio grazie a quest'ultima, a Riley, che Camille fu trovata in tempo. A quanto pare aveva pensato bene di attenderla fuori dalla scuola per incamminarsi insieme verso il loro solito pub, ma dopo essersi resa conto che quel ritardo non fosse decisamente da lei, si allarmò.

Iniziò a tartassarla di chiamate, che andarono tutte alla segreteria telefonica.

Riley le raccontò che per il nervoso aveva sommerso la sua segreteria di urla isteriche e insulti.

Fu per pura fortuna che incamminandosi verso l'altro lato dell'istituto la trovò stesa a terra, priva di sensi e con del sangue incrostato tra i capelli biondi.

Se non fosse stato per lei starebbe ancora marcendo in quel vicolo.

Per mesi nella sua testa erano passati centinaia di scenari simili, dove finalmente poneva fine a quell'agonia, ma dopo aver visto la preoccupazione negli occhi dolci e confortanti della sua migliore amica si chiese se fosse veramente questo che volesse.

Odiava essere una delusione eppure cercava di fare di tutto per esserlo.

Come avrebbe potuto fare una cosa del genere a Riley?

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