Thalia non riusciva a dormire in mezzo a persone che non conosceva. Preferiva restare a guardare il soffitto scrostato, e ad ascoltare le gocce di pioggia che battevano picchiettando sulla superficie traslucida esterna del grattacielo, e poi defluivano giù, ad apparire quasi come un'onda, un'alta e spumeggiante onda marina, che s'infrange sul suo scoglio. Il sacco a pelo era tutto ispido e spelacchiato, e le prudeva assiduamente sulla pelle, ma lei se ne stava zitta, fingendo quasi di dormire, di tanto in tanto. Ma mai sarebbe ceduta al sonno, in quella stanza sconosciuta, in mezzo a quei potenzialmente pericolosi ed assassini ribelli. Preferiva sforzarsi tanto da farsi gonfiare le vene sotto gli occhi, piuttosto.
Nelle notti fuori, in giro per le strade di Khanun, aveva imparato bene a rimanere vigile e a non fidarsi (specialmente degli uomini, le riusciva molto difficile), e le avevano iniettato una certa e alta soglia della percezione del dolore. Non solo fisica, ma anche mentale. Quindi sforzarsi a restare sveglia, non era poi una insormontabile sfida per lei, anzi, le appariva piuttosto semplice.
Dovevano essere circa le undici, o mezzanotte, non lo sapeva dire per certo senza un orologio. Ed il tempo sembrava passare talmente lento, peccaminoso, eterno, sulla sua pelle stufa, che ne aveva perso il conto e la percezione già ore prima. Era come stare in una camera iperbarica, di quelle dove si fermano i sub dopo un'immersione impegnativa. Uno di quei posti, insomma, che non era soggetto né a tempo, né a spazio. Una realtà surreale, dove l'unica componente che andava a tesserne i dettagli, era la tenebra. Quella tenebra pastosa, macabra, mordace, che inglobava vorace ogni cosa ed ogni corpo nella stanza. E probabilmente si ingoiava pure tutti i respiri addormentati degli altri. Ma a quelli svegli e vigili di Thalia non poteva certo attentare.
Tutto era rimasto calmo ed immobile per un bel pezzo, fino a quando Tancredi, disteso sul suo pulcioso sacco, aveva incominciato a dimenarsi. Thalia inizialmente faceva fatica a distinguere i suoi strascichii sul tessuto del provvisorio letto, dallo strusciare delle gocce di pioggia sul soffitto. Pensava stesse facendo un sonno agitato e convulso, uno di quegli incubi che non ti lasciano la mente in pace. E Thalia, che aveva una soglia di sopportazione estremamente bassa, avrebbe tanto voluto assestagli una bella pacca sulla schiena per immobilizzarlo, in qualche modo. Ma tratteneva salde le morsa violente che ogni tanto le balenavano in testa con grosse boccate di quella gelida aria.
Tancredi però presto si era alzato in piedi, e Thalia aveva capito che non stava affatto avendo un brutto sogno, ma stava frugando alla cieca nel suo giaciglio alla orba ricerca di qualcosa. E dal silenzio soddisfatto che la ragazza percepì, doveva averlo trovato. Ed ora era pronto ad uscire.
Tancredi si allontanò a passi veloci, ma silenziosi, quasi tentando di non svegliare gli altri. Appoggiata la mano sul corrimano delle scale, scese i gradini con assennata fretta.
Thalia si immobilizzò un attimo, tremendamente insospettita. Troppe domande le balenavano nella mente, per poter venire zittite.
"Dove sta andando?"
"Cosa stava cercando?"
"Perché se ne va così in fretta?"
"Non ci lascerà mica qua abbandonati?"
"E se ci stesse consegnando al governo?"
"E se volesse dare fuoco all'edificio ed ucciderci?"
"Magari è una sua trappola..."
I dubbi erano troppi...
I dubbi corrodevano Thalia da dentro...
I dubbi non l'avrebbero più lasciata in pace...
Thalia afferrò un pugnale dalla pila di armi che Tancredi aveva allineato alla parete della stanza, ed imboccò l'uscita per l'edificio, ad inseguire i suoi passi.
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Khanun
Science FictionAnno 2324, Melbourne, Australia. Sono passati 300 anni dall'apocalisse che ha sconvolto gli equilibri della Terra, sono passati 300 anni dalla vita che conosciamo noi oggi, 300 anni che però una cosa non hanno cambiato... l'umanità. Otto adolescenti...