18° capitolo: Non si può vivere nella luce senza conoscere le tenebre

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Maya non si voleva più guardare indietro, neanche una volta. Quelle immagini di morte e supplizio le bruciavano scabrose negli occhi, quasi quanto le lacrime le ustionavano le guance, rigandole per lungo in salati ed appiccicosi solchi di sale.

Non aveva mai visto nulla di così orrendo, giurò a sé stessa.

E sperava assiduamente che i neuroni del suo cervello rimuovessero quei ricordi il prima possibile. Ma mentre camminava in quella sgangherata e reduce processione, le sue retine continuavano a riproporle le stesse, devastanti immagini, e non sembravano voler sbiadire via.

Non sapeva se a tormentarla con le sue nere ombre era tanto l'atrofia agonizzante con cui erano morte quelle persone divorate vive dal gas, oppure la consapevolezza lacerante di aver abbandonato tre fidati compagni sul balcone del grattacielo quella sera... E che probabilmente li avevano condannati a morte certa.

Dio, Maya più ci pensava e più si compiangeva esasperata e dolente dai sensi di colpa assassini.

Lara... aveva lasciato anche lei a piangere oltre le volute inconsistenti di quel gas. Lara... era forse la sua più cara amica, e ne aveva firmato la sentenza morte.

Maya non avrebbe mai scacciato via dalla sua mente l'immagine dei suoi occhi verdi pieni di fumo e rimpianti, oltre la coltre di fuoco e iprite, che la guardava corrosa dall'astio. O meglio, Lara si era guardata spaesata intorno, forse neanche ci aveva visto oltre la ingente colonna di fumo, ma Maya aveva visto lei, e quei suoi occhi penitenti erano bastati a schiacciarla e scavarla nel profondo, forse anche più di quanto avrebbe potuto fare quel gas...

-Ancora che ci pensi?- le domandò Timothee, quasi come se avesse la psicotica capacità di leggerle nel pensiero, oltre quei suoi mori capelli lisci e la fronte costellata dalla vitiligine chiara.

-Mi hai scoperta- ammise lei, imprimendo nelle parole un certo accenno afflitto -Mi continuo a domandare se avremmo potuto fare di più...Scappare era davvero la nostra unica possibilità?-

Era una domanda quasi retorica, nella sua essenziale stupidità. Era ovvio che se avessero avuto l'occasione li avrebbero trascinati con loro, Thrax, Lara e Neil, ma se non l'avevano fatto era solo perché non ci sarebbero tornati vivi indietro da quell'azione di pio salvataggio... Ma per quanto semplice ed elementare, Maya continuava ad arrovellarcisi sopra. E la questione non le dava pace.

-Sì, Maya, lo era. Il gas ormai stava per salire le scale, e sai che se non ci fossimo mossi immediatamente sarebbe stato troppo tardi- c'era qualcosa di livoroso nella sua voce, ma forse era solo un riflesso di stanchezza -E' triste anche per me ma... sai anche tu che non avevamo altra scelta.-

Ma Maya non lo riusciva ad ammettere. E continuava a ripercorrere gli eventi della notte in loop nel suo encefalo, come fossero gli scarni ricordi della videocassetta di un film horror proibito.

Non sapeva bene perché, forse per cercare degli indizi, dei ricordi qualcosa che le suggerisse un possibile modo o per colpevolizzarsi perché avrebbero potuto aiutarli, o per pensare che fossero ancora vivi. Ma nessuna di queste due opzioni, nella mente di Maya, sembravano trovare terreno fertile. Anzi, tutto andava sempre più ad avvalorare quella vile e spasimante fuga.

Era tutto cominciato col boato. Quel rumore talmente forte che l'aveva svegliata di soprassalto, e sembrava scavarle nelle ossa e vibrare nei nervi e tra le fibre muscolari dei tendini. Con la coda dell'occhio aveva visto Thrax, Lara e Neil sul balcone, ed aveva tentato di alzarsi per chiedergli cosa facessero lì, ma il frastuono si era fatto talmente deleterio che l'aveva inchiodata sul posto a tapparsi le orecchie. E quando finalmente quello si era placato, una donna con la bocca cucita era corsa nella loro stanza, facendogli segno di seguirla in fretta e fuggire. Maya l'aveva subito riconosciuta: il generale.

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