CAP 4 - PARTE II

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4.3

L'aria frizzante della mattina le portò un po' di buonumore. Tornare all'università che l'aveva cresciuta prima come ragazza e poi come donna, le trasmetteva emozioni contrastanti, euforia e malinconia, gioia e tristezza. L'essere consapevole di trovarsi lì soltanto perché aveva fatto una promessa a suo padre, le provocava anche uno strano senso di disagio.

Non riusciva a non pensare al recente funerale, ai sermoni vuoti, sempre uguali a sé stessi dei preti, in quelle occasioni. Nessuna vera empatia per il corpo chiuso dentro la bara o verso i cari che la piangevano. Forse era troppo dura nei confronti dei religiosi, ma le funzioni funebri assomigliavano a un freddo testo da leggere, dozzinale, senza sentimento; un morto dietro l'altro. Quella chiesa non la rappresentava, non era il saluto che avrebbe voluto dare a suo padre e questo la faceva sentire in colpa, quasi sporca, nei suoi confronti.

«Scusami, papà.» Mormorò tra sé, abbandonandosi in un'espressione di sconforto. Si sentiva in dovere di mantenere la parola data, l'aspettava un'oretta di camminata e si sarebbe goduta, dopo tanto tempo, le bellezze di Praga. Un tuffo nel passato, per le vie che percorreva spesso, con noncuranza, immersa nei pensieri da ragazza.

Appena uscita dall'hotel svoltò l'angolo a sinistra e iniziò a percorrere l' interminabile e trafficata via Konevôva. Si avvicinò incuriosita alla targhetta che ne riportava il nome; una delle sue poche amiche con cui era ancora in contatto a Praga, le aveva confessato che volevano sostituire il nome in Hertigova, in memoria di uno dei sindaci storici del quartiere di Praga 3, di cui la strada faceva parte e ne rappresentava l'arteria principale. Prese atto che ancora non avevano apportato alcuna modifica, la scritta bianca Konevôva, in onore del maresciallo Konev che contribuì a liberare la città sul finire della seconda guerra mondiale, era ancora ben visibile sullo sfondo rosso. Il fatto che il militare in questione fosse russo, in seguito ai recenti eventi in Ucraina, aveva suscitato il desiderio di cambiamento.

Si disinteressò di quella storia e si mise in ascolto della città. Il passaggio dei tram, lo scampanellio delle biciclette degli studenti che affollavano la pista a loro dedicata, i profumi emanati dai numerosi locali alla base dei palazzi costruiti nel dopoguerra che si affacciavano sulla via da entrambi i lati. Notò che molti erano stati ristrutturati per ricoprire il grigio sporco del vecchio intonaco, testimonianza di un'epoca sotto il comunismo russo che voleva essere dimenticata.

Non aveva fretta di arrivare all'Università, aveva deciso di dormire all'University Hotel perché voleva ripercorrere i luoghi della sua infanzia. Si ritrovò davanti al Café Bar Lampičky, un tuffo al cuore la percorse. La scritta bianca sul tendone rosso esterno le sembrava sempre la solita, ma il locale appariva ammodernato con gusto. Notò dei graffiti sulla destra fatti a bomboletta spray ma li ignorò, troppa era l'emozione di entrare di nuovo dentro il "suo bar".

Lo stile in legno minimale, i pallet sul soffitto a sostituire le plafoniere per le lampade, donavano un'atmosfera familiare e accogliente al locale. L'odore dei cibi si fondeva con quello dell' arredamento, si sorprese a sorridere dalla felicità nel ritrovarsi in un luogo che, seppur cambiato, le trasmetteva le stesse emozioni di un tempo. Si ricordava quanto fossero buoni gli hamburger e l'ottima birra in compagnia dei compagni di corso.

«Non posso credere ai miei malfunzionanti occhi! Sei davvero tu, cerbiatta?»

Bethany non ebbe il bisogno di voltarsi. La voce roca, profonda, che non conosceva sussurro, l'avrebbe riconosciuta in mezzo a mille. Il vecchio Josef dominava l'ambiente con la sua stazza dietro il bancone. Poteva avere ormai più di settant'anni, lo riteneva già vecchio quando frequentava il locale da ragazza.

«Sei tu?»
Si sporse in avanti socchiudendo gli occhi a fessura. Si rifiutava di portare gli occhiali, nonostante fosse miope, sarebbe stato un segno di debolezza. Anche il taglio di capelli non era cambiato, la riga laterale, la frangia che gli ricadeva sulla fronte donandogli un'aria sbarazzina da intellettuale incompreso. Non più neri, ma imbiancati dal passare del tempo, non riuscivano comunque a offuscare il magnetismo dei suoi occhi, di un castano profondo, splendente.

I LIBRI DI FOYLES - IL RACCONTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora