unkiss me.

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Scusate il ritardo, ma sono rimasta senza internet. Eccomi qua finalmente con un altro capitolo.
Buonaa lettera a tutti :) 





CAMILA'S POV 

Tremavo. Si, tremavo. Avevo letteralmente perso il controllo. Sapevo che prima o poi non avrei resistito a baciarla. Sentivo che qualcosa non era al posto giusto. Percepivo il mio cuore aumentare i battiti. Dopo aver abbandonato l'appartamento e una Lauren quasi decisa a poggiare le labbra sulle mie, decisi di intrufolarmi nel mio appartamento.
Avevo un grande bisogno di stare da sola.
Ci sono giorni in cui la solitudine è un vino inebriante che ti ispira libertà, altri in cui è un tonico amaro, e altri ancora in cui è un veleno che ti fa sbattere la testa contro il muro. Infatti era uno di quei giorni. Volevo proprio frantumare in mille pezzi la mia testa.
Ero confusa da tutto quello che mi circondava.
E' un po' come essere innamorati no? Stiamo attenti a non amare, perché si sa.. fa tanto male, però non importa quanto faccia del male, creiamo dei legami, anche con un semplice sguardo con una persona non scelta.
L'amore non si sceglie, l'amore è nascosto, l'amore è ignoto, l'amore è fascino. Forse è questo il mezzo per cui iniziai a incamminarmi verso ciò per cui io ritenevo segno d'amore. In quel momento il mio punto di riferimento era Lauren.
Lauren era la persona che volevo amare e odiare nello stesso tempo.
Si, l'odiavo perché l'amavo. Un po' contraddittorio no? Chi non è contraddittorio nella proprio vita. Ne ero più che sicura che in quell'odio risiedesse l'amore. Cosa sarebbe cambiato se entrando l'avessi baciata? Era ciò che volevo. In quel preciso instante, caddi nell'amore. Ero caduta dentro quel vortice che mi ero ripromessa più volte di stare attenta. La sedia era vuota. La finestra aperta. Scrutai tutto la stanza, nessuna traccia del mio amore ostinato.
Con il cuore che stava per uscire dal mio petto, controllai fuori dalla finestra e le mie aspettative vennero conformate. Era andata via. Misi le mani tra i mie capelli, chiusi gli occhi.
Mi voltai, appoggiandomi alla finestra.
Guardai il soffitto nella speranza che mi offrisse qualche suggerimento. Abbassai lo sguardo nelle mie mani, iniziai a muovere le dita per accettarmi se il controllo era ancora saldo dentro di me. Sorrisi. Iniziai a ridere.
Camminai verso la sedia per abbandonarmi in una rumorosa risata che risuonava ovunque, all'interno dell'appartamento. Continuavo a ridere.
Diedi appoggio ai miei gomiti sulle ginocchio e tenni la mia testa tra le le mie due mani che con le dite toccavano i miei capelli. Guardavo il pavimento, era sporco, un po' come me.
Ero schifoso, era maledettamente nero. Mi rispecchiai in quel nero del pavimento: dentro di me avevo una foresta, con tanti cespugli e alberi che per poco non toccavano il cielo. Alberi altissimi e foglie così verdi. I rami erano lunghi che reggevano tutte quelle foglie, possedevano una grandissima forza; un fuoco, c'era un fuoco che bruciava tutto quello che stava intorno.
Dentro ero una foresta infuocata e l'unico odore che si riusciva ad annusare ero il fumo e l'unico colore che si riusciva a constatare ero il nero. Una foresta nera. Ero una foresta nera. Iniziai a piangere, disperata e presa dalla collera.
Mi alzai, allontanando bruscamente la sedia che mi sorreggeva per cadere per terra e dando vita a un grande rumore. Sentivo gli occhi dilatarsi, li stringevo così forte da sentire il viso bagnato dalle lacrime a causa della forte rabbia.
Cominciai a dare pugni immaginari al vuoto che avevo davanti, gridando. Fino a quando ruppi la finestra e il vetro si frantumò in mille pezzi, depositandomi sul pavimento grigio. Mi ferii la mano. Il sangue colava a terra. Non m'interessava.
Mi appoggiai al muro, strisciando fino a sedermi e incrociare le gambe e mantenendo sempre il contatto con il muro freddo. I miei capelli erano un misto di sudore e sangue. Stavo perdendo la mia sfida.
- Fottiti Jauregui - gridai così forte da sentire l'anima pronta a balzare fuori dal mio petto.
- Jauregui questa me la paghi! - dissi con le ultime forse che avevo. Smisi di versare altre lacrime. La testa mi chiedeva incessantemente di fermarmi. Fissavo il vuoto. Come se stessi fissando me stesso. 

Non so per quanto tempo rimasi li seduta, ricordo solo che feci altre urla e lanciai contro il muro la sedia, ma mi sorpresi quando sentii il un soffice contatto con la mia guancia fasciata da una piccola garza, era il cuscino. Dove mi trovavo? Era distesa su di un letto. C'è un gran silenzio.
La luce è smorzata. Sono comoda e al caldo, in questo letto. Apro gli occhi e per un attimo sono serena, mentre mi godo quell'ambiente strano e sconosciuto. Non ho idea di dove mi trovo. La tastiera del letto ha la forma di un sole gigantesco.
La stanza è ampia, ariosa e riccamente arredata in toni marroni, dorati e baige.
Mi raddrizzo meglio e guardo il comodino. Sopra ci sono una tazza di thè e dei biscotti alquanto invitanti. Prendo il thè, scottandomi un po' l'altra mano visto che l'altra era ancora fasciata da un garza un po' grande rispetto a quello che avevo nella guancia.
Cercavo di muoverla ma il tentativo fallì perché il dolore era anche ancora presente. Il thè ha un sapore delizioso, è dissetante e rinfrescante. Immersa nella mia tranquillità e anche in un certo nella mia confusione assoluta, qualcuno bussa alla porta.
Il cuore mi balza nel petto, e non riesco a trovare la voce a causa della paura mista alla curiosità che avevo per dare il permesso allo sconosciuto di entrare nella stanza. Lui apre comunque, ed entra senza alcune paura nella stanza. Indossa dei pantaloncini che li risaltano i fianchi asciutti e una maglietta rossa sudata, almeno credo.
Lui mette una borsa su una sedia e afferra i due capi dell'asciugamano sopra il letto. Si appoggiò alla porta, guardandomi e sorridendomi maliziosamente. - In che modo sono arrivata qui? - La mia voce è flebile e contrita.
- Sono stato io, non temere, non abbiamo fatto niente di cui dovresti preoccuparti. - dice, flemmatico, mentre io arrossisco violentemente.
- E scommetto che sei stato anche tu a mettermi a letto, ho ragione?
- Se per te questo non è un problema. - la sua espressione è impassibile.
- Mhh, bene. - mormoro. Mi guardo le mani.
- Se hai finito con le domande, mi permetti di andare a fare una doccia? - mormora.
Annuii con la testa. Ero ancora sconvolta da tutto ciò. Non volevo nessuno che mi disturbasse. Scendo dal letto, ritrovandomi solo con l'intimo e ciò mi meraviglia. Vado alla ricerca dei jeans.
Lui esce dal bagno, umido e luccicante, coperto solo da un asciugamano intorno ai fianchi.
Do un sbirciatina al suo corpo e che dire?
- Dove cazzo sono i miei vestiti? - dissi, quasi urlando, irritata dalla situazione.
- Sono a lavare, calmati dolcezza. - disse, lanciando sopra il letto l'asciugamano che avevo intorno al collo.
- Vado a fare una doccia anch'io con permesso - dissi, senza neanche incrociare il suo sguardo.
Mi dava il nervoso, ma un po' gli ero grata, mi avevo salvata o sbaglio?L'acqua è calda e tonificante. Potrei stare sotto questa doccia in eterno. Sento pungere un po' la ferita che ho nella mano fasciata. E ripenso a Lauren. Dove cazzo era finita? Ne ero più che sicura che volesse continuare la sfida. Una sfida che chi si innamora perde e credo che io l'ho già persa.
Ma tanto non sapevo tutto questo, no?
E poi io sentivo che qualcosa in lei mi dava la certezza che provasse le mie stesse emozioni.Prendo il bagnoschiuma e con cautela, senza sforzare la mano destra, lo strofino sulla mia pelle, intenta a cancellare tutti quei pensieri banali.
Esco senza dare troppo nell'occhio, avvolgo i miei lunghi capelli nell'asciugamano e mi rendo conto che sopra il letto ci sono i miei vestiti che indossavo ieri, puliti, piegati e profumati.
Quest'uomo era abbastanza gentile. Ma chi era? Chi era così gentile da portami i vestiti già lavati e stirati?
- La colazione è pronta. - lo sconosciuto grida da cui penso sia la cucina.
Prima di raggiungerlo, mi vesto velocemente. Mi sistemo alla meglio i capelli e cerco disperatamente di farli prendere una forma elegante.
Ma, come al solito, loro si rifiutano di collaborare e la mia unica possibilita è legarli con un elastico. Esso diventa solo un opzione quando ricordo di avere una mano rotta.
Mi guardo allo specchio. Sono presentabile. Scendo le scale, è ora di affrontare il tizio tanto gentile. La stanze è enorme, un po' come tutto l'appartamento.
All'interno si possono notare divani imbottiti, soffici cuscini e un gigante ed elegante tavolino abbellito da libri illustrativi e un grandissimo televisore al plasmo attaccato alla parete.
Egli è seduto su di una poltrona, concentrato a leggere una rivista sportiva.
Alza lo sguardo su di me si alza. Indossa una camicia di lino bianco, con il colletto e i polsini sbottonati.
- Siediti - mi dice, sicuro di sè.
- Serviti come se fossi a casa tua - mi sorride, guardandomi di sottecchi.Optai per pancake e una piccola Twinings English Breakfast. Mangiai con fervore, visto che la sera prima non ebbi modo di farlo e il mio stomaco chiedeva in continuazione cibo.
Si era creata una certa atmosfera che decidi di interromperla con una domanda che mi frullava da quando aprì gli occhi.
- Non ci siamo ancora presentati, chi saresti tu? - dissi, continuando a torturare il pancake con la forchetta.
- Sei sicura di volerlo sapere? - disse, facendo un sorrisetto che mi fece innervosire.
- Chi saresti il lupo che viene di notte e mangia i bambini? - dissi, sarcasticamente, portandomi alla bocca l'ultimo pezzo di pancake rimasta sola nel piatto.
- Sono Jamie, il tuo Jamie - disse, facendo incastrare le sue labbra sulle mie.    


Vorrei tantissimo che qualcuno commentasse questo capitolo. 
C'ho lavorato tanto! 


-prossimo capitolo a 35 voti. 

Alla prossima e BUONA ESTATEEE! 


One Last Time - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora