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LAUREN'S POV

Matite: rossa, gialla, verde, blu, viola. Matita nera. Afferro la prima e graffio sopra un Fabriano ruvido un arco insanguinato.

Poi, in successione, uso le altre tracciando archi su archi, appiccicati, ammassati.

Fisso l'arcobaleno sul foglio. Ora è il turno della matina nera.

Con molta precisione, premo la sua punta sul Fabriano spingendola avanti e indietro, sbriciolandola, facendola diventare sempre più minuta.

Il nero mangia il bianco, linee spesse e grasse, sotto l'arcobaleno.

Mi mancava disegnare. Imprimere su un foglio di carta tutto ciò che popola la mia mente mi rilassa. Perché proprio un arcobaleno? Si dice: dopo la tempesta spunta l'arcobaleno. Ma il nero non fa parte di quei colori.

Mi fermo, osservo un'altra volta. Noto che qualcosa manca, qualcosa d'importante, qualcosa che ho dentro ma non vuole essere riflessa, non vuole uscire fuori dalla mia mente. Forse solo la matita nera puà dimostrarla. In basso a destra, sotto le linee spesse e grasse, la matita nera traccia due cerchi, e sotto uno più grande. In quello più grande la matita nera, sotto il controllo delle mie dita, disegna due macchioline nere: occhi.

Sotto gli occhi un triangolo nero: naso.

Dal naso linee nere: una bocca. Sotto il cerchio grande, traccio uno più ampio definendo il corpo. Un corpo da donna, esile, sottile.

Sopra il corpo, sopra l'arcobaleno, sopra tutto il micromondo che stava davanti ai miei occhi ormai stanchi, c'è solo il cielo bianco, secco, ruvido. Un bianco che paralizza il cervello e lo risucchia. Un bianco cannibale in cui è irresistibile perdersi.

-Lauren!- è la voce del mio presunto padre che proviene da piano inferiore.

Mi strappa al bianco, abbandono la mia presa sulla matita e la lascio cadere sul tavolo marrone e lungo. Scendo le scale lentamente.

Quel disegno mi ha paralizzata. Le scale scricchiolano. Colpa di mio padre, non ha intenzione ancora di ripararle. Attraverso la porta sorridendo falsamente.

Meglio cambiare umore. Sul tavolo, il Sing. Silk dispone due piatti, due piatti per due persone. Il profumo di vitello è solido, copre le cose e s'aggrappa fortemente alle pareti e ai tessuti. E' stato sempre un buon cuoco.

- Siedieti Lauren. - m'invita ad accomodarmi con un grandissimo sorriso. Mi siedo, mantenendo sempre la stessa espressione di prima.

- Come mai solo due piatti? Dov'è Dinah? - dissi, notando ora l'assenza della mia compagna di squadra.

- E' andata a comprarti dei nuovi vestiti, stai tranquilla. - La sua voce mi rassicura. Inauguro la cena dicendo 'buon appettito'. Inizio a servirmi da sola.

- Quindi Lauren, come stai ora? So che è stata una bella batosta, ci siamo preoccupati molto. - mormora piano, o per paura di darmi fastido o per il semplice fatto che non vuole che tutto ciò mi ritorni come un forte vortice nella mia mente. Ma lui non sa. Lui non sa cosa c'è sotto. Cosa si nasconde dietro di me.

- Papà, sono riuscita a cavarmela no? Ora sono qua, insieme. Ti prometto che riusciremo a conquistare il territorio, fosse l'ultima cosa che faccio. - dissi, portando la mia mano sulla sua e regalandogli uno dei miei tanti sorrisi in modo tale che lui capisse la mie intenzioni.

Riporto la mia mano sulla forchetta. Do un sorso al mio bicchierie pieno d'acqua. Continuammo a mantenere un certo silenzio.

Entrambi volevamo aggiungere qualcos'altro, ma il nostro pensare determinava altro silenzio e quindi riuscimmo solo a rubare qualche sguardo.

One Last Time - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora