Un cafè, non un bar.

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"Buongiorno, Andrea! Vedo che hai comprato tante cose! Ospiti qualcuno a cena?" disse Laura, la cassiera, mentre scannerizzava le mie compere.

"Ah no, Laura, non devo ospitare nessuno. Non faccio la spesa da un po', avevo bisogno di molte cose," rispondo, sorridendo leggermente mentre imbusto gli oggetti già scannerizzati.

"Oh, ho capito!" sorride.
"Sono 63 euro e 19 centesimi, grazie!"

-Sono davvero aumentati i prezzi, che schifo l'inflazione- penso.

"Grazie, Laura, ci vediamo. Buona giornata" dico, porgendole i soldi, prendendo il resto e le buste.

È così strano.

Per tutta la mia vita, ho sempre pensato che fare la spesa fosse divertente.
Andavo con mamma e papà, compravamo gelati, patatine, merendine. Era divertente, mi sentivo forte a portare le buste dal supermercato alla macchina.
Ma ora che ho 19 anni, è molto più noioso. Non vado a fare la spesa da tre settimane, mi sembra, proprio per questo.
Lo trovo noioso: non trovare quello di cui ho bisogno, aspettare che le signore davanti a me smettano di chiacchierare per poter passare nell'altra corsia, passare minuti eterni in fila perché l'uomo davanti a me vuole necessariamente il suo centesimo di resto.

È così noioso.
E anche un po' triste.
Pensare che ciò che da piccola trovavo divertente ora è diventato pesante e monotono.

Mi incammino verso la mia piccola Clio bianca. È un po' vecchiotta, era di mia madre, ma funziona ancora bene.

Guidare è come fare la spesa: da piccola era così divertente. -Appena avrò la patente, potrò andare dove voglio e quando voglio!- pensavo da bambina, seduta al posto del guidatore, giocando con il volante.
Ma ora guidare mi pesa.
Devi andare abbastanza veloce da non far arrabbiare nessun cinquantenne stressato e abbastanza lento da non prendere una multa di 100 euro.
Devi ricordarti di fare benzina e pagare troppo per pochi litri.

È noioso stare nel traffico, anche se ammetto che è divertente vedere le persone imprecare perché la macchina davanti a loro non avanza di quei tre centimetri di spazio.

È comunque pesante.

Arrivata a casa, metto a posto la spesa e, senza neanche sedermi, prendo le sigarette comprate poco fa e il mio amato taccuino beige, incamminandomi verso il cafè sotto casa mia.

Mi raccomando, è un cafè, non un bar.

Entro, saluto il solito barista, prendo il solito caffè freddo e mi siedo al mio solito tavolino all'esterno.
Accendo la mia solita sigaretta, sorseggiando il mio caffè ormai quasi finito, apro il taccuino e inizio a scrivere.

O almeno ci provo.

Ho sempre amato scrivere, sin da piccola.

Alle medie ero ossessionata dal creare storielle, al punto di partecipare a una competizione scolastica.
Arrivai seconda.
Triste. Mi ero impegnata davvero tanto. Ma fa niente.

L'unico modo in cui riesco a calmarmi è tramite un foglio e una penna, o magari un telefono e i miei pollici.
L'unico modo in cui riesco a parlare dei miei problemi è tramite il mio taccuino.

-O beh, anche Elia riusciva a calmarmi davvero bene- penso.

Scrivo, scrivo.

Cosa scrivo?

Non lo so. Non ne ho idea.

Oggi non ho ispirazione.

Poso la penna e alzo la testa, guardandomi intorno, cercando ispirazione in qualcosa.

Vedo un bambino lanciare una moneta in una fontana per poi stringere gli occhi, come se avesse appena espresso un desiderio.

Può essere un input?

Scrivo, in mezzo al primo rigo:

"Desiderio" e accanto "25 gennaio", in piccolo, la data del giorno.

Scrivo, cancello.

Scrivo, scrivo, cancello.

Niente.

Alzo la testa, guardo il cielo.

Idea! Sempre la stessa.

Scrivo, scrivo, scrivo.

Mi piace!

Non mi accorgo che la mia sigaretta è finita. Non l'ho neanche iniziata. Mi sono lasciata prendere troppo dalla poesia.

Ne prendo un'altra, ma il mio accendino non funziona.

"Ma cosa...?" dico ad alta voce.
Gli do qualche colpetto, ma niente.
Poso la sigaretta, sbuffo, poso l'accendino.

"Hey, ti serve?" sento una voce accanto a me. Alzo la testa.

Una ragazza alta, forse poco più di me, con capelli cortissimi ricci e occhiali. È vestita davvero bene, con uno stile simile al mio, ma con meno colori.
Mi sta porgendo un accendino rosa fluo, il contrario di come è vestita lei.

"Oh- sì, grazie!" dico, accennando un sorriso.
Accendo la mia sigaretta e le porgo l'accendino, cercando il suo sguardo senza trovarlo.
-Magari è timida e non vuole fare eye contact?- penso.

Sono solita "scannerizzare" le persone con cui interagisco.

"Non ringraziarmi! So quanto è brutto trovarsi con l'accendino finito in momenti del genere" sorride anche lei, spostando velocemente lo sguardo sul mio taccuino.

Mette l'accendino nella tasca destra dei suoi pantaloni, rimette la cuffietta, che stranamente non avevo notato, ed entra nel bar.

-Che bella ragazza, non l'ho mai vista qui,- penso.

Eppure conosco quasi tutti.
Alla fine, questo non è un paesino così tanto abitato.

Chissà, magari anche lei ha traslocato da poco.

Il mio trasloco non è andato molto bene; ci ho messo quasi sei mesi per portare tutti gli scatoloni, alcuni si erano persi. È stato un vero casino, però fortunatamente è andato tutto bene.
Spero che anche per lei stia andando tutto bene, se sta traslocando.

Finisco la mia sigaretta e butto il mozzicone. Chiudo il taccuino e torno a casa.

È tardo pomeriggio, non ho voglia di fare nulla.

Faccio una doccia per rinfrescarmi, guardo un po' di televisione e, arrivata l'ora di cena, decido di ordinare una pizza.

Finito di mangiare, mi siedo sul balcone di casa per fumare un'altra sigaretta.

C'è una bella arietta fresca.

Come ogni sera, tutta la stanchezza della giornata si riversa su di me tutta in una volta.

Scrivo ancora un pochino, finisco la sigaretta e vado a letto.

Mi addormento con lo stesso pensiero di ogni notte.

-Chissà come sta adesso.-

-Sfumature di nostalgia-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora