Elia

9 2 0
                                    

È mattina, sono distrutta.
Devo andare all'università.

-Sono distrutta- ripeto nella mia mente.
Per l'ennesima volta ti ho sognata, come devo fare?
Mi manca.
Mi manchi.

È davvero stancante dover andare all'università con certi pensieri in testa.
Fortunatamente filosofia mi piace, quindi sono un po' più motivata ad andare a lezione.

Bevo un caffè, di cui avevo decisamente bisogno. Prendo i miei libri e li incastro in uno zaino a tracolla fin troppo piccolo.
Prendo velocemente le chiavi di casa e il mio taccuino, e scappo in macchina.

Non ho fatto tardi, ho semplicemente paura del traffico, che, come ho già detto, odio davvero tanto.

Appena arrivata, mi incammino nella caffetteria, dove tutte le mie amiche si ritrovano di mattina.
"Andrea! Finalmente!" urla Gioia.
Il suo nome le si addice decisamente.
Sempre felice, non ha mai ansie o problemi per nulla.
La invidio un po', ma so che tutti nascondono qualcosa che nessuno sa, quindi cerco di non pensarci tanto.

Oggi siamo in pochi rispetto alle altre volte. Siamo solo io, Gioia, Alessio e Anna.
Gli ultimi due stanno assieme, io e Gioia ci sentiamo sempre a disagio attorno a loro, sono fin troppo affettuosi.
"Uh, ragazzi, vogliamo incamminarci?" dico io, per rompere quello strano clima di tensione.

"Sì, hai ragione! Andiamo dai," dice Gioia, quasi immediatamente facendo un sospiro di sollievo.

"La lezione è stata particolarmente noiosa oggi," dice Gioia, appena uscita dall'aula.
"Boh, sì," dico io.
-Non ho prestato abbastanza attenzione per saperlo- penso.

Uno dei miei più grandi problemi è che cerco delle costanti distrazioni pur di non pensare. Conseguentemente, appena non sono circondata da distrazioni, tutti i pensieri che stavo cercando di ignorare con tutta me stessa tornano in una sola volta.

Come se le mie distrazioni facessero da diga a un fiume di pensieri che, prima o poi, faranno della diga un ammasso di macerie.

Mi ritiro a casa guidando in modo quasi automatico, sto ancora affogando nel fiume dei miei pensieri.

Arrivata a destinazione, preparo un pranzo semplice.
In questo periodo non ho tanta voglia di cucinare.
Questo periodo.
Quasi febbraio.
Questo periodo.

-La primavera sta arrivando- penso. È passato quasi un anno.
So che è poco tempo, ma sembra essere passato un secolo.
Mi manca,
mi manchi, Elia.

Entrata in camera, mi fiondo sul letto, come ieri non ho voglia di fare nulla.
Solo di scrivere.

Prendo sempre lo stesso taccuino e lo apro con cautela, passo le dita sulle pagine, leggo alcune parti divertenti del mio diario, vedo foto incollate mesi fa che mi riportano in quei momenti così felici e spensierati, arrivo ai poemi scritti.
La maggior parte sono scritti in momenti di sofferenza.

La poesia per me è una cosa davvero intima, per questo nessuno ha mai aperto questo bel taccuino beige.

Nessuno a parte, beh, Elia.

-È quasi finito- penso.


È davvero triste sapere che, prima o poi, tutto dovrà finire.
Lo trovo anche spaventoso, onestamente.
Il fatto che non potrò essere per sempre un adolescente che vive serenamente la sua vita mi spaventa.

Sinceramente, penso anche di soffrire di Fomo;

F.O.M.O.,
fear of missing out, paura di perdersi qualcosa. Solitamente eventi importanti, o più semplicemente, paura di essere esclusi.
Per alcuni, è paura di non vivere le stesse cose di coloro che ci circondano.

Ho vissuto gran parte della mia vita avendo questa paura. Una paura quasi irrazionale. Una paura di perdere gli anni migliori della mia vita facendo il nulla.

Vivo ogni giorno della mia vita quasi in automatico;
mi alzo allo stesso orario, mangio la stessa colazione, percorro gli stessi passi di ieri. Mangio allo stesso orario, mi riposo per lo stesso lasso di tempo del giorno precedente, continuo la mia giornata nello stesso modo di tutte le altre.

È solo la sera che solitamente cambia qualcosa. Ma ovviamente, qualcosa pur deve restare.

In questo caso, sono i pensieri.
Le paure.

Gli stessi identici pensieri, le stesse identiche paure che ho da anni.

La stessa paura di star bruciando tutti i miei anni adolescenziali.

Vedo persone adulte che enfatizzano sul fatto che "questi sono gli anni migliori della tua vita, goditeli, ti mancheranno" e puntualmente mi chiedo

cos'è che devo godermi di questa vita così monotona e noiosa?
Perché dovrebbero mancarmi delle cose che faccio da anni?

Come se riuscissi a vedere il futuro,
so già cosa succederà oggi,
o almeno so già quello che dovrò fare.

Miei coetanei vivono una vita che sembra così eccitante, circondati ogni giorno da persone, sempre in posti diversi, che si godono effettivamente i loro anni.
Magari i discorsi degli adulti sul "godersi la gioventù" su di loro funzioneranno, ma so per certo che per me sono completamente inutili.

Così ovvi, così stupidi da trovarli noiosi quasi quanto la mia vita.
Quasi sempre le stesse parole.
Sempre lo stesso concetto.

A volte cambia il verbo, usano un sinonimo.
A volte cambia l'enfasi messa su una parola al posto di un'altra.
Ma il significato è sempre lo stesso;

proprio come le mie giornate,
non completamente uguali,
ma mai esageratamente diverse.

Forse una giornata mi sveglierò più tardi, non farò colazione, tornerò a casa prima del solito.
Ma nel complesso arriverò sempre allo stesso punto.

E come arrivo io allo stesso punto, arrivano anche le mie paure.


Ci ho scritto una poesia su questa mia paura, magari un giorno la pubblicherò.

Magari un giorno avrò il coraggio.

Ritorno al mio taccuino, sfoglio tutte le pagine ormai piene di ricordi e arrivo a una delle ultime pagine bianche, vuote. Quasi quanto la mia vita.

Accanto a questa pagina c'è la poesia scritta da me ieri "Desiderio".
Desidero poche cose.
E la tua presenza è una di quelle.

Mi manca tanto la tua presenza.

Fisso la pagina vuota a destra, scrivo in alto "Elia" e inizio a scrivere:

«Se dovessi immaginare il mio cuore in una forma non letterale,
immaginerei una foresta.
Ogni albero è come un ricordo, le cui radici sono fissate nella mia mente.
Ogni albero è un ricordo, chi più grandi e robusti, chi più piccoli e frivoli.
Come ogni foresta, deve pur esserci un albero più grande degli altri, giusto?
Nella mia foresta l'albero più grande ha il tuo nome inciso sopra "Elia" scritto in grande sulla corteccia.
Ha ovviamente delle radici ben salde nel terreno, è l'albero più grande, dopotutto.
Ed è come se tutte le radici si scontrassero con quelle di altri alberi.
Ogni mio ricordo ha una sfumatura di te al suo interno.
Sei ovunque io guardi, anche nei posti in cui non sei mai stata, anche nei posti in cui, fisicamente, non ci sei.»

Oggi sono soddisfatta delle mie parole.

Forse perché questa volta mi sono lasciata trasportare dai ricordi.

Come se la penna mi stesse controllando.

Come se, in un modo a me ignoto, stessi scrivendo tu al posto mio.

-Sfumature di nostalgia-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora